Παν είναι αριθμός, ”tutto è numero” era il motto dei Pitagorici. E per numeri si intendevano quelli interi, i numeri naturali, quelli che servono per contare, per mettere in ordine.

Disintossicato dal Continuo e dall'Infinito, lasciatemi alle spalle le teorie di Cantor e la filosofia di Parmenide, voglio assaporare il Discreto, godere del Finito. Voglio elencare, numerare, mettere in ordine.

E mettere le cose in rapporto con i numeri finalmente mi da pace.

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lunedì 18 aprile 2011

Lettera a Zenone



Caro Zenone,
mi sei sempre stato simpatico, non solo per i tuoi divertenti paradossi, ma soprattutto per la strenua difesa delle opinioni del tuo maestro Parmenide. 
Opinioni difficili da sostenere poiché Parmenide negava la più semplice delle esperienze: il movimento. Il tuo maestro, attraverso il ragionamento ontologico sulla non esistenza del non essere, aveva affermato l’inesistenza del vuoto e quindi del movimento. Infatti quest’ultimo senza vuoto non poteva avvenire, poiché se lo spazio è pieno e senza vuoti il movimento non è possibile. I corpi stanno, uno attaccato all’altro, senza vuoti tra di loro, aggregati come in un unico blocco all’interno del quale nulla si può muovere.
Tu, per dare man forte al tuo maestro, avevi inoltre  tentato di dimostrare l’impossibilita del moto attraverso un ragionamento indipendente basato sui paradossi generati dalla divisione all’infinito: Achille che non raggiunge la tartaruga, e poi, quello che a me piace di più, la freccia che non raggiunge il bersaglio. Infatti questa deve, prima di raggiungere la meta, arrivare a metà del percorso e prima ancora a metà della metà e così via all’infinito. La freccia non partirà mai dovendo percorrere infiniti segmenti in un tempo finito. 
Caro Zenone, quando mia moglie, in preda all’astinenza da nicotina, mi chiedeva di andarle a comprare le sigarette, ho tentato più volte, per evitare l’interruzione di qualche oziosa attività, di usare il tuo ragionamento per farle capire che anche se avessi voluto arrivare fino dal tabaccaio non avrei mai più potuto raggiungerlo dovendo prima arrivare a metà strada e prima ancora a metà della metà e così via. 
Purtroppo mia moglie, che come la maggior parte delle donne ha i piedi saldamente per terra, non si faceva incantare da ragionamenti, ancorché rigorosi, che confutano l’esperienza.
Il ragionamento ontologico del maestro è sempre stato un po’ debole visto che giocava sui diversi significati del verbo essere. Inoltre la sostantivazione del verbo non implica che il così generato sostantivo esegua necessariamente l’azione descritta dal verbo e quindi “il non essere non è” è in realtà una forzatura
Il tuo ragionamento a prima vista sembra più difficile da confutare.
Sembrerebbe infatti, che la somma infinita di parti, ancorché piccole, è infinitamente grande e che quindi la freccia impiegherà un tempo infinito ad raggiungere il bersaglio, supposto che lo spazio da percorrere sia suddiviso in infinite parti attraverso la procedura di bisezione da te proposta.
Ma la somma di infiniti addendi, mio caro Zenone, è un problema insidioso.
Prendiamo per esempio la somma infinita 1+(−1)+1+(−1)+···, L’abate Guido Grandi (1671-1742) analizzandola trae conclusioni a dir poco temerarie:
Spostando le parentesi, da essa si ottiene sia 0 = (1 − 1) + (1 − 1) + (1-1)+….. che 1 = 1 + (−1 + 1) + (−1 + 1) + ··· 
Da cui segue 0 = 1 ... ma allora l’idea della creazione ex nihilo risulterebbe plausibile!
Ma, caro Zenone, come già detto, le somme infinite sono insidiose. Qui l’abate fa un uso disinvolto della proprietà associativa della somma, che pero non vale in generale nel caso delle somme infinite.
Ancora più insidie si nascondono nelle somme di infiniti addendi sempre più piccoli. Infatti, queste serie a volte hanno somma infinita e a volte no.
Nicola d’Oresme (XIV sec.) mostra che la serie armonica:
H(n)=1/2 +···+1/n +… ha somma infinita. 
Infatti (1/2)+(1/3+1/4)+(1/5···+1/8)+··· ≥ 1/2 + 1/2 + 1/2 +··· → +∞.
La dimostrazione parte dall’idea che, raggruppando opportunamente più termini consecutivi della serie armonica, si può costruire una sottosuccessione della successione che manifestamente diverge.
A partire dal secondo termine, raggruppiamo i termini della serie armonica in blocchi costituiti da 1, 2, 4, 8, . . . addendi, in modo che l’ultimo termine di ciascun blocco sia del tipo 1/2k :

(1/2) 
+ (1/3+1/4)
+ (1/5+1/6+1/7+1/8) 
+ ......

In ciascuno dei blocchi entro parentesi l’ultimo addendo è il più piccolo, dunque le quantità entro parentesi sono tutte ≥ 1/2. Infatti il k-esimo blocco contiene 2k-1 addendi tutti maggiori o uguali a 1/2k e quindi dato che 2k-1/2k = ½ 
Che somme infinite davano un risultato finito l’aveva probabilmente intuito già Eudosso di Cnido (IV sec. a.C.) a cui viene attribuita da Euclide la dimostrazione, con il metodo dell’esaustione, che il volume di un cono e la terza parte del volume del cilindro con la stessa base.
Questo metodo basto sulla somma di infinite aree geometriche può essere usato per dimostrare che la freccia arriva al bersaglio infatti:
La somma della serie geometrica: G(n)=1/2+1/4+1/8 ….. per infiniti elementi è uguale a 1.


come si vede dal disegno, si parte dal primo triangolo, che ha un area equivalente alla metà del quadrato e si aggiungono quindi  triangoli di area grande la metà del triangolo precedente. Se si immagina di continuare questo processo all’infinito si vede che l’intera area del quadrato viene riempita e quindi si può affermare che la somma infinita delle aree sia uguale ad 1. Quindi la somma di infiniti elementi può essere finita e quindi la freccia colpisce il suo bersaglio.
Caro Zenone, sembrerebbe che non hai potuto aiutare il tuo maestro Parmenide più di tanto. Comunque come avrei notato trattare le somme infinite non è cosa tanto semplice, anzi ogni volta che c’è di mezzo l'infinito bisogna andarci coi piedi di piombo. Comunque hai messo un dito nella piaga. Ne discuteranno filosofi e matematici per i prossimi millenni, distinguendo sottilmente tra i tipi di infinito: attuale o potenziale, categormatico o sincategormatico, con la cardinalità dei numeri naturali o con la cardinalità del continuo. 
Alla fine è risultato un gran casino. Il tentativo di includere gli insiemi infiniti in una teoria assiomatica degli insiemi ha prodotto addirittura affermazioni che sono sia coerenti, che non coerenti, all’interno della teoria stessa. Le fondamenta della matematica hanno per la prima volta subito un sussulto e alcuni matematici chiamati intuizionisti, a quali anche io mi associo, hanno rifiutato l’uso disinvolto dell’infinito attuale, rifondando la matematica e riportandola a trattare solo di quei enti che la mente può costruire, facendo a meno del concetto di infinito attuale o degli insiemi a cardinalità infinita. 
La somma della serie geometrica non “è” uguale a uno ma la successione delle somme parziali all’aumentare degli elementi si avvicina ad uno, senza pero mai raggiungerlo un quanto la somma “infinita” non esiste non essendo “costruibile”.
Caro Zenone, il tuo tentativo di “ragionare” con l’infinito ha generato un paradosso. Questo in parte è stato risolto utilizzando un formalismo che trattava insiemi con infiniti elementi, ma quando si è cercato di costruire una teoria degli insiemi che tenesse conto anche di quelli con cardinalità infinita sono nati altri paradossi, che questa volta però non si sono rilevati risolvibili. Il diavolo è uscito dalla porta per rientrare dalla finestra. 
Quindi, caro Zenone, bisogna fare attenzione, l’uso improprio del concetto di infinito è pericoloso, e come ben sai non solo in logica. Affermando l’infinito si creano paradossi che sembrano confutare l'esperienza comune. Del resto anche lo scopo dei tuoi ragionamenti era di evidenziare una differenza sostanziale tra il mondo della ragione e quello della esperienza. 
Sei quindi anche tu colpevole, come Parmenide, del fatto che l’occidente ha dovuto subire due millenni di delirio idealista, da Platone ai padri della Chiesa fino a Kant ed oltre. Voglio pensare che non era tua intenzione appiopparci tanto e quindi

ti saluto con simpatia

Federico.

sabato 8 maggio 2010

La teoria eliocentrica di Aristarco da Samo





Aristarco da Samo, astronomo e fisico greco visse tra il 310 a.C. e il 230 a.C. Egli fu il primo a sviluppare una teoria eliocentrica del cosmo togliendo alla terra l'attributo di centro dell'universo. Inoltre in base ad un sottile ed elegante ragionamento riuscì a determinare la distanza tra la terra ed il sole e la distanza tra la terra e la luna e quindi le dimensioni relative fra la terra la luna ed il sole. Furono proprio queste misure che gli fecero capire che il sole era molto più grande della terra e che si trovava molto lontano dalla coppia terra luna, tra loro invece relativamente vicine. Questa disparità di dimensioni e di distanza fu certamente lo spunto per considerare il sole, l’astro più grande, al centro del sistema. Inoltre il sistema eliocentrico permetteva di spiegare in maniera molto più semplice i moti apparenti dei pianeti.
Il ragionamento di Aristarco per il calcolo dei rapporti tra le distanze ed i diametri dei tre corpi celesti era basato su semplici osservazioni. La versione qui riprodotta ne segue le linee generali, anche se non ne segue per filo e per segno lo svolgimento. Resta comunque la bellezza del ragionamento che portò Aristarco e la civiltà greca a capire le dimensioni del cosmo e a mettere quindi  in discussione il geocentrismo e di conseguenza l’antropocentrismo.


 
Vediamo innanzitutto alcune definizioni:





Dts = distanza terra – sole
Dtl = distanza terra – sole
dso =  diametro sole
dte =  diametro terra
dlu =  diametro luna

Aristarco osservando le fasi della luna e la relativa posizione del sole aveva capito che la luna era illuminata dal sole è che nelle quadrature ( primo ed ultimo quarto) , quando la luna presentava il suo disco illuminato a metà le semirette che congiungevano il sole alla luna(SL) ed la terra alla luna (TL) formavano un angolo retto.

  

Aristarco individuò quindi il triangolo TLS rettangolo in L. Misurando l’angolo α tra la luna ed il sole durante le quadrature della luna Aristarco era in grado di conoscere tutti gli angoli del triangolo TLS. Infatti, l’angolo β la terra ed la luna visti dal sole poteva facilmente essere calcolato sapendo che la somma degli angoli di un triangolo era uguale all’angolo piatto (180°).  L’angolo luna-sole visto dalla terra comunque doveva essere minore di 90°. Infatti, quando la luna si torva in quadratura il sole non e poi molto distante ed i due astri si possono vedere insieme nel cielo diurno.  La misura effettuata da Aristarco diede il valore di 87°  (il valore moderno è di 89° 51’).







L'errore era tutt'altro che trascurabile ma la misura con i mezzi di allora non era di semplice esecuzione, inoltre la determinazione del esatto istante della quadratura della luna presentava difficoltà ancora maggiori. Aristarco capì comunque che essendo l’angolo luna-sole molto vicino a 90°, il rapporto tra la distanza terra-luna ed la distanza terra-sole era molto piccolo e che quindi il sole distava dalla terra molto più della luna. Aristarco stimò il valore compreso tra 18 e 20 mentre il valore moderno e di circa 400. Questo errore relativamente grande è dovuto dal fatto che nel triangolo rettangolo TLS se l'angolo tra il cateto minore e l'ipotenusa (nel nostra caso l’angolo luna–sole) è molto vicino a 90° anche piccoli errori nella stima di questo angolo generano grandi errori nel rapporto tra lo stesso cateto minore e l’ipotenusa. Infatti, già una  stima di 89° darebbe un rapporto di 57 mentre a 89° 51” il valore sale a 382.

Chiamiamo k il rapporto tra le distanze terra-sole e terra-luna:


Il rapporto tra le distanze si riflette subito sul rapporto delle grandezze, in quanto il sole e la luna sono visti dalla terra in sostanza sotto lo stesso angolo (ca. 0.5°). Infatti la dimensione apparente del sole e della luna è quasi uguale.




Questo si nota soprattutto durante le eclissi totali di sole, quando la luna copre tutto il sole èd il periodo di eclisse totale è di solito molto breve.


Inoltre le eclissi totali di sole sono visibili come tali solo in regioni ristrette, già muovendosi di poche centinaia di chilometri l’eclisse non è più totale ma solamente parziale. Come si po’ vedere nella mappa sottostante che indica in porpora  la zona della terra in cui era visibile l’eclisse totale del luglio 2009 mentre la zona blu indicava quella parte da dove l’eclisse era vista come parziale.   




La considerazione che il cono d’ombra solare potesse essere considerato un triangolo isoscele con base il diametro solare e come vetrice la terra (la sua superficie) indusse Aristarco ad un ragionamento che lo porto a calcolare il rapporto tra il diametro della terra ed il diametro lunare e quindi attraverso il rapporto già trovato del rapporto tra il diametro lunare e d il diametro solare al rapporto tra il diametro terreste ed il diametro del sole.



Definiamo quindi




Per calcolare questo valore Aristarco si servì di un altra osservazione relativa questa volta alle eclissi di luna. Infatti osservando le eclissi lunari Aristarco aveva notato che al contrario di quelle solari la loro durata non poteva essere considerata un istante. Anzi il passaggio della luna nel cono d’ombra della terra durava tipicamente parecchi minuti e si potevano chiaramente distinguere quattro distinti momenti.

A)   il momento in cui la luna tocca il cono d’ombra della terra
B) il momento in cui la luna è entrata completamente nel cono d’ombra della terra.
C) il momento in cui la luna inizia da uscire dal cono d’ombra della terra
D) il momento in cui la luna è uscita dal cono d’ombra della terra.













Aristarco riuscì a determinare il rapporto tra il diametro della luna ed il diametro del cono d’ombra della terra in corrispondenza dell’orbita lunare (dco) dal rapporto del tempo che intercorreva tra gli istanti A e B o C e D  (proporzionali al diametro lunare) ed il tempo che intercorreva tra gli istanti A e C oppure B e D (proporzionali al diametro del cono lunare in corrispondenza della orbita lunare).





Definito quindi dco come dimensione del cono d’ombra della terra in corrispondenza dell'orbita lunare

chiamiamo quindi 




il rapporto tra diametro del cono d’ombra della terra in corrispondenza dell’orbita lunare e del diametro lunare.

Aristarco trovo per m il valore 2 mentre il valore moderno risulta 2,7






Ne risultava subito che la dimensione della terra non poteva essere molto più grande del luna. Infatti, se il cono d’ombra della luna si riduceva di un diametro lunare sulla distanza terra luna durante l’eclissi di sole, il diametro del cono d’ombra durante l’eclissi di luna si doveva ridurre di una grandezza equivalenti. Questo vale solo se i triangoli definiti dai coni d’ombra della terra e della luna possono essere considerati triangoli simili. Aristarco considerò i due triangoli in sostanza molto simili poiché la distanza sole luna era molto maggiore della distanza terra luna e quindi gli angoli al vertice dei triangoli isoceli aventi come base il sole e come vertice la punta dei rispettivi coni d’ombra dovevano differire di una quantità esegua.




quindi







dalla definizione di m nella (1.3)



Sostituendo la (1.5) nella (1.4)




raggruppando  dlu 


e quindi evidenziando dlu



considerando la (1.2)


si ottiene 



Ricapitolando, Aristarco aveva trovato per k il valore di 19 mentre  per m il valore 2. Applicando questi valori alla (1.8)  e alla (1.10) le risultanti dimensioni del sistema solare sono ricapitolate nelle seguenti:








Aristarco aveva eseguito errori nella determinazione di m e k e aveva quindi sottostiamo sopratutto la distanza terra sole. I valori coretti per k ed m sarebbero stati rispettivamente 382  e 2,7. Usando questi valori il diametro lunare e quello solare risultano:

    
       
molto vicini ai valori moderni.

Pur sbagliando le misure astrometriche Aristarco aveva intuito che il sole era un oggetto celeste di gran lungo più grande della terra e quindi le toglieva il primato che era alla base della visone geocentrica del cosmo.
La teoria eliocentrica fu però fermamente osteggiatata da Claudio Tolomeo astronomo del II secolo d.C che nella sua opera Almagesto affermò la centralità ed immobilità della Terra nell'universo.
Il Cristianesimo in seguito avallò la cosmologia tolemaica in quanto compatibile con le Sacre Scritture. Infatti in Giosuè, cap. X, si legge "fermati, o sole!" e quindi secondo la chiesa era il sole a muoversi e non la terra.
Dovranno passare quasi 2000 anni prima che Nicolò Copernico e dopo di lui Galileo riaffermeranno la visone eliocentrica del sistema solare togliendo definitivamente alla terra la posizione privilegiata al centro del universo.

sabato 17 aprile 2010

Lettera a Parmenide



Caro Parmenide

Lo so che la storia della radice di due, il rapporto tra lato del quadrato e la sua diagonale, era una bella rogna. I Pitagorici avevano dimostrato che non fosse esprimibile come rapporto di due numeri interi. Questo era del tutto inaspettato, contrario al senso comune e ha creato un bel casino nella concezione del mondo dei tuoi conterranei. Effettivamente a una prima analisi sembrava che intuizione e realtà non fossero sempre in sintonia, e che non tutte le cose “sono” come “sembrano”. Il fatto che la matematica, che è basata sulla ragione e sulla logica, non sia intuitiva, è qualcosa che non deve sconvolgerti più di tanto. Dopo di te negli ultimi 2000 anni è successo un sacco di volte che la matematica ha prodotto risultati inaspettati e assolutamente anti intuitivi. Basta che pensi ai numeri immaginari basati sulla radice di -1 oppure agli infiniti di ordine superiore di Cantor. Il grande John (Janos) von Neuman, diceva “In matematica non si capiscono le cose, semplicemente ci si abitua a esse”. Oggi ogni alunno delle scuole elementari accetta senza problemi che la radice di due ha infinite cifre dopo la virgola. E la cosa non lo sconvolge più di tanto.
Secondo me hai un po’ esagerato o forse ti sei compiaciuto a farlo. C’era proprio bisogno di dividere il mondo in due? Quello delle apparenze (doxa) e quello della verità/ragione (aletheia). Solo perchè alcuni ragionamenti sembrano dare risultati paradossali non c’è bisogno di negare i dati empirici. Buttare a mare l’esperienza dei sensi ogni qual volta la logica apparentemente la contraddice si rivela spesso atteggiamento affrettato. Può succedere che la nostra esperienza non sia sempre descrivibile in una particolare situazione logica ma appena si allargano gli orizzonti delle teorie, l’esperienza è sempre ritornata in sintonia con la tua “aletheia”. E’ poi caro Parmenide è facile tirare in ballo un altro mondo per spiegare cose che apparentemente nel “nostro” sono a prima vista contraddittorie.
Poi, scusami ma devo dirtelo, il tuo argomento ontologico è un po’ un gioco di parole. Dici che ”l’essere è e il non essere non è” per poi concludere che quindi il “non essere” non esiste. Ed essendo il “non essere” equivalente al vuoto quest’ultimo, il vuoto, non esiste. Non esistendo il vuoto lo spazio è pieno e quindi il moto è impossibile, non esiste. Tutto è fermo nulla si muove.
Potrei ribattere: E l’esperienza ? Io mi muovo quando voglio, anche tu, o no ?
Scusa dimenticavo, secondo te è solo un’illusione, apparenza. Conta solo la ragione e quella secondo te ci dice che non ci possiamo muovere.
Ma proprio qui sbagli. L’argomento ontologico poi tanto logico non è. Il problema logico nasce dalla sostantivazione dei verbi. Formalmente è semplice: basta aggiungere l’articolo determinativo all’infinito del verbo in questione. Nessuno ci dice, però, che questi sostantivi eseguono l’azione del verbo alla loro base. Forse ha senso dire che “il pensare pensa” ?
Chi ci dice che “l’essere è” e a maggior ragione che “il non essere non è”. E solamente un gioco di parole che tra l’altro non funziona in tutte le lingue: in inglese giustamente “the to be is” non ha senso.
Fortunati gli inglesi, che così si sono risparmiati il delirio ontologico continentale sfociato in quella troiata dell’idealismo kantiano. La loro lingua gli ha lasciati con i piedi per terra e così hanno potuto sviluppare un sano e pragmatico empirismo.

Caro Parmenide la ragione non nega l’esperienza e quindi non è necessario creare un altro mondo in contrapposizione a quello empirico. E poi per quale motivo bisogna creare un dualismo quando se ne può fare a meno? “Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem” dirà Guglielmo da Occam, guarda caso anche lui anglosassone.

Logicamente ed empiricamente tuo

Federico

sabato 6 febbraio 2010

Lettera a Pitagora


Caro Pitagora

E’ tutta colpa tua! hai fatto proprio un bel casino.

Eri partito bene, convinto che a tutto poteva essere associato un numero, anzi ti eri spinto anche oltre affermando che ogni cosa era numero e che quindi ogni cosa poteva essere messa in rapporto con un'altra, bastava dividerle in parti sempre più piccole, fino a trovare un elemento di dimensione uguale. Le cose reali stavano in relazione tra di loro come i loro numeri associati. Più semplici erano questi rapporti e più in sintonia erano le cose tra loro. Infatti, avevi, con acume, notato che nella lira solo i suoni prodotti dalle stringhe di lunghezze tra di loro in semplice rapporto sono armoniosi.

Poi è arrivato quell’esaltato di Ippaso da Metaponto, tuo allievo a Crotone, che aveva dimostrato che la diagonale del quadrato non poteva essere messa in relazione con il lato. Ma che cosa andava cercando? Cose cervellotiche: anche se avessimo suddiviso il lato in parti sempre più piccole e lo stesso avessimo fatto con la diagonale, anche suddividendoli sempre di più, non si sarebbe mai arrivato a un elemento di dimensione comune. 


Ippaso aveva dimostrato che la lunghezza della diagonale del quadrato con il lato di lunghezza unitaria, che in base al tuo famoso teorema, era uguale alla radice di due non poteva essere espressa come rapporto di due numeri interi e quindi non poteva essere messa in relazione numerica con il lato stesso. La dimostrazione la conosci ma voglio fartene conoscere un'altra, più generica, la quale si può adattare per dimostrare incommensurabilità di tutte le radici dei numeri interi che non siamo quadrati. 

Consideriamo quindi la diagonale d del quadrato di lato unitari e applichiamo il tuo teorema 





La dimostrazione, come del resto quella di Ippaso, è una dimostrazione per assurdo, nella quale si assume temporaneamente per vera una ipotesi e sviluppandone le conseguenze si giunge ad una conclusione assurda dimostrando cosi che l’assunto originale era falso. 

Ipotizziamo quindi che la diagonale d possa essere espressa come rapporto di due numeri interi n e m 


allora sostituendo la (1.3) nella (1.1) 


in generale avremo 



quindi




ora per il teorema fondamentale dell’Aritmetica sia m che n possono essere espressi in prodotto di fattori primi, e questa rappresentazione è unica, se si prescinde dall’ordine in cui compaiono i fattori. 





all'interno di una singola fattorizzazione ci possono essere fattori ripetuti, naturalmente: ad esempio, 100 = 2×2×5×5 

ma ora 






sostituendo nella (1.5)


ora se k non è un quadrato nella sua fattorizzazione ci sarà almeno un fattore presente un numero dispari di volte. Ma i fattori primi di n² e di m² sono presenti tutti un numero pari di volte e quindi la uguaglianza non può essere vera in quando almeno un elemento fattore primo del lato sinistro e presente un numero dispari di volte mentre i fattori primi dell’ lato destro sono tutti pari. 


Quindi la nostra temporanea premessa (1.5) ci ha portato ad una contraddizione e quindi la premessa è falsa. 

Quindi non esiste un rapporto numerico (1.3) che possa esprimere la radice di un numero che non sia un quadrato di un numero intero. In particolare non essendo 2 il quadrato di un altro intero la radice di due non può essere espressa nella forma (1.3), non può essere un rapporto tra numeri interi, una “ratio”, la misura della diagonale del quadrato è un numero irrazionale. 

Per te che eri convinto che tutto era numero e logos (rapporto, ratio), vedere che la diagonale non era “logica”, ma “illogica” nel vero senso della parola, deve essere stato proprio un brutto colpo. 

Ma la tua reazione! La tua reazione! Va bene arrabbiarsi, ma tu, il povero Ippaso lo hai fatto fuori annegandolo. 

Concordo, se lo era meritato! Ma, non dovevi dare tutta questa importanza alla scoperta. Soprattutto non dovevi tenerla nascosta. Bastava annoverarla tra quelle curiosità paradossali che s’incontrano quando si gioca con questi elementi irreali come punti senza dimensione o linee senza spessore che si sono inventati quei matti dei geometri. Anzi era proprio la dimostrazione che questi “enti” geometrici (scusa ma mi fa un po’ ribrezzo usare il participio presente del verbo essere per descrivere questi cosi) in realtà non esistono, non si meritano l’attributo dell’esistenza. 

Era quindi molto più semplice affermare, usando ancora una volta la la reductio ad absurdum: ecco ho appena dimostrato che la diagonale del quadrato (quello fatto con le linee senza spessore) non esiste, poiché la supposizione della sua esistenza porta ad un assurdo. Esistono solo le diagonali dei quadrati che disegniamo sulla sabbia o su un foglio, esistono solo le cose che possiamo costruire e non ogni stronzata che possiamo pensare o immaginare. Esiste forse l’Ippogrifo? 

Hai tenuto tutto nascosto. Così hai avvallato il pensiero, che il grande Pitagora, quello che credeva che tutto fosse finito, numerabile, aveva paura del concetto della divisone all’infinito. Così hai dato adito a Platone di inventarsi quella iattura del mondo delle idee: dove oltre alle diagonali dei quadrati con le linee senza spessore può esistere qualunque cosa, addirittura il concetto più contraddittorio della logica: l’infinito. 

Ma va ....... !!! 

Sempre con stima (nonostante tutto) 

Federico 


martedì 3 novembre 2009

Riempiere il vuoto




Figura 1
Nel 1957 Maurits Cornelis Escher ricevette dalla casa editrice De Roos Foundation l’incarico di scrivere un saggio sulla divisione regolare di un piano. Ai conoscitori della sua opera non erano sfuggiti i molti lavori che l’artista olandese aveva dedicato a questo ordine di problemi; Escher stesso, per parte sua, trovò occasione con quell’incarico di sistemare teoricamente tutta una serie di intuizioni e conoscenze che aveva accumulato nel suo lavoro di grafico. Il risultato di quella ricerca è un lungo articolo corredato da una serie di 6 incisioni. Nell’affrontare il problema, Escher parte dalla sua esperienza di illustratore notando: “un piano che sia considerato illimitato su tutti i lati, può essere riempito con, o diviso in, figure geometriche simili che confinano l’una con l’altra su tutti i lati senza lasciare spazi vuoti”. Torneremo a parlare di questi spazi vuoti; per intanto occorre notare che, già prima di concepire quel saggio, l’incisore olandese aveva sviluppato ben 130 tavole con esempi di figure regolari capaci di riempire una superficie – tutte riconducibili a figure geometriche regolari accostate secondo schemi che si ripetevano. Escher aveva avuto modo di raccogliere esempi e modelli durante una visita all’Alhambra di Granada, che accoglie un ricco repertorio di tali figure geometriche: gli artisti arabi, infatti, dovevano limitarsi ad esse nel decorare le superfici, dato che la loro religione proibisce le raffigurazioni realistiche (fig. 1). 
Figura 2
Tuttavia l’interesse per la divisibilità regolare (o periodica) dello spazio è decisamente più antico: i primi tentativi risalgono addirittura all’epoca degli antichi egizi, come testimoniano gli affreschi trovati nelle tombe della Valle dei Re. Il primo ad eseguire tassellazioni del piano usando figure non geometriche fu l’artista viennese Koloman Moser1, uno dei fondatori della Secessione viennese che svolse gran parte della sua raffinata attività nel campo delle arti applicate, dedicandosi in particolar modo alla realizzazione di stoffe, vetrate e manifesti, creando altresì tassellature con elementi figurativi che rappresentavano oggetti animati (fig. 2).
Le diverse possibilità di riempire il piano e lo spazio con figure uguali era stato campo d'interesse dei cristallografi che, nel tentativo di classificare le strutture cristalline, si erano  chiesti in quanti diversi modi il piano o lo spazio potesse essere riempito con la stessa figura. Il problema specifico dalla tassellatura del piano venne affrontato dai cristallografi  Fedorov, Schoenflies e Barlow nel 1891:, essi applicarono le tecniche della teoria dei gruppi algebrici elaborata nel 1832 dal giovane matematico francese Evariste Galois2 alle trasformazioni che si possono applicare alle figure del piano. Essi considerarono il caso delle trasformazioni isometriche che lasciano inalterata la forma e le dimensioni delle figure e che possono essere raggruppate in tre categorie: traslazione, rotazione, riflessione3
Figura 3
Dimostrarono quindi che, nel caso  isometrie del piano, le possibilità di riempire una superficie piana con figure regolari sono in tutto 17 (tali figure sono chiamate anche wallpaper groups (fig. 3)). Anche Escher aveva notato che il piano poteva essere riempito con la stessa figura ed aveva iniziato a formulare una propria metodologia di classificazione (vedi Doris Schattenschneider Visioni della Simmetria I disegni periodici di M.C. Escher Zanichelli 1992) riscoprendo per via grafica che erano diciassette i diversi modi in cui figure uguali potevano, giustapponendole senza lasciare spazi vuoti, riempire il piano. Egli era anche a conoscenza di un articolo di Pólya del 1924, inviatogli da suo fratellastro Beer Escher. (professore un geologia all' Università di Leida), in cui le 17 possibilità erano state riscoperte e illustrate. Escher aveva  poi spinto oltre la sua indagine considerando anche il colore come elemento distintivo (tasselli adiacenti non potevano condividere lo stesso colore); catalogò in un suo originale schema le diverse possibilità sviluppando una vera e propria teoria .
È il caso di mettere in evidenza un punto che ritegno fondamentale. Esso consiste nel fatto che il numero dei modi con i quali si può, usando una figura base, riempire il piano senza lasciare spazi vuoti applicando la traslazione la rotazione e la riflessione è appunto limitato: 17 nel caso di tasselli uniformi e 46 nel caso di tasselli a due colori. Tra l’altro, anche il numero delle possibili tassellazioni dello spazio con solidi soggetti ad isometrie è limitato, sia pure con un ventaglio assai maggiore di possibilità: 230, per la precisione. Anche ciò fu dimostrato dal cristallografo Evgraf S. Fedorov nel 1890. Il problema della suddivisione degli spazi generalizzati a n dimensioni era stato posto da David Hilbert durante il famoso secondo congresso mondiale della matematica tenutosi a Parigi nel 1900. In quell'occasione, Hilbert enunciò 23 problemi4 allora irrisolti, alle cui soluzioni si adoperarono intere generazioni di studiosi e che hanno poi scandito la storia della matematica moderna. Nel 1920 Ludwig Bieberbach dimostrò che per tutti gli spazi a qualunque dimensione la suddivisione regolare mediante trasformazioni isometriche è limitata oppure, secondo il linguaggio dei matematici, che il numero dei gruppi spaziali per qualsiasi dimensione è limitato5.

Queste conclusioni sono sorprendenti. Esse ci dicono che quella realtà che chiamiamo spazio è colmabile con forme uguali, o divisibile in elementi primordiali, non a piacere, ma solo partendo da determinate forme. Lo spazio insomma sembra esso stesso soggetto ad una legge che governa la sua struttura.
E’ il momento di tornare ora su quegli spazi vuoti, che Escher aveva lucidamente riconosciuto come l’essenza del compito che gli era stato dato. Ricordiamo: figure regolari possono riempire una superficie senza lasciare spazi vuoti. Questo compito fa tornare in mente uno dei testi più importanti della filosofia e della cultura occidentale, il trattato Della Natura di Parmenide di Elea6. Il passo che ci interessa è quello dove Parmenide scrive: “... l’essere all’essere è accosto”. : sentenza di non facile interpretazione, che ha fornito materia di discussione a generazioni di filosofi.
Di null’altro si occupa Parmenide che dell’essere, cioè di cosa il mondo sia e di come esso sia. I nostri sensi ci dicono che il mondo è uno spazio dove si alternano corpi e vuoti. La prova più evidente di ciò è il movimento, del quale tutti facciamo esperienza seguendo ad esempio un corpo che occupa porzioni successive di spazio attraversando il vuoto. Ma i sensi e l’esperienza, secondo Parmenide, non rivelano la verità; solo la ragione, procedendo per deduzioni, può condurci a quella meta. Parmenide era stato certamente a contatto con la scuola pitagorica probabilmente quale discepolo del pitagorico Aminia. 
Pitagora fu il primo filosofo a distinguere tra la realtà rilevata dall'apparenza da quella rivelata dalla ragione: convinto che ogni grandezza potesse essere espressa in forma numerica come rapporto tra numeri, da lui considerati l'archè di tutte le cose. Nel tentativo di trovare il rapporto tra il lato e la diagonale di un quadrato  si imbattè in un risultato inaspettato che andava contro il senso comune: trovò infatti che non era possibile esprimere il rapporto tra queste due grandezza,  il lato e la diagonale di un quadrato, attraverso il rapporto tra due numeri interi. In altre parole, comunque si suddivida in parti uguali sia la diagonale che il lato di un  quadrato, non si giungerà mai ad un segmento di lunghezza definita in modo tale che sia la diagonale che il lato ne rappresentino dei multipli interi. Pitagora aveva dimostrato l' incommensurabilità della diagonale del quadrato rispetto al lato6. Questa scoperta andava, oltre che contro il senso comune, sopratutto contro la sua stessa opinione che ogni cosa fosse esprimibile come rapporto di numeri interi. Per non fare crollare la certezza della corrispondenza tra il mondo dell'apparenza ed il mondo della ragione, confinò la scoperta all'interno della sua scuola. Ma fu partendo proprio dalla considerazione che questi due mondi non necessariamente dovevano coincidere che Parmenide sviluppò i suoi ragionamenti. Il principio della filosofia di Parmenide che partiva da una semplice affermazione: L’essere è, il non essere non è si sviluppa secondo un ragionamento che possiamo così riassumere (riprendendo l’elenchus proposto da Karl Popper7):


i)  se il non essere non è, ciò comporta che

ii)  il nulla non può esistere. Se il nulla non esiste, ciò
comporta che

iii)  il vuoto non esiste. Se il vuoto non esiste, ciò comporta
che

iv)  il mondo è pieno. Se il mondo è pieno, ciò comporta che

v)  non vi è spazio per il movimento e per il mutamento (considerato una forma di movimento). La conclusione è che 

vi)  il movimento e il mutamento sono impossibili. 



I fenomeni percepiti attraverso i nostri sensi, nella rivoluzionaria visione di Parmenide, sono apparenze ingannevoli. Il mondo è uno spazio pieno, unitario, immobile, senza tempo. 
Figura 4
È ora evidente a quale lido approda questo excursus nell’ontologia parmenidea. “L’essere all’essere è accosto”; ovvero, come abbiamo visto nella proposizione iv) il mondo è pieno. Riempire una superficie (o un volume) con forme regolari senza lasciare spazi vuoti è la missione di Escher (fig. 4). 
Parmenide illustrato da Escher, dunque? La risposta non è così semplice. Diciamo piuttosto che il filosofo e l’artista affrontano la stessa sfida: il primo con la ragione, deducendo il mondo da un assunto a priori; il secondo con le figure geometriche, studiando le loro combinazioni. “Scienza e arte, percepite per lo più come attività e linguaggi differenti dell’uomo, indagano spesso sugli stessi oggetti e hanno forme di rappresentazione comuni”, come nota il matematico Piergiorgio Odifreddi (cfr. Penna, pennello e bacchetta – Le tre invidie del matematico, Laterza, Bari, 2005). 
La scuola filosofica di Elea, una volta affermato il dualismo tra apparenza e verità, aveva proseguito alla ricerca di ulteriori contraddizioni tra la δοξα (l'apparenza) e la αλεθεια (la ragione) trovando ulteriori paradossi (παρα δοξα = contro l'apparenza). In particolar modo Zenone, discepolo di Parmenide, aveva formulato diversi paradossi che evidenziavano l'illusorietà del movimento.  Tra essi il più noto,  legato alla suddivisione all'infinito dello spazio, è quello della freccia che non raggiunge mai il bersaglio: infatti la freccia, prima di raggiungere il bersaglio, deve percorrere metà della strada e quindi la metà della metà e poi la metà del rimanente percorso in una regressione all'infinto per cui alla fine non raggiungerà mai il bersaglio.  In seguito, proprio nel tentativo di risolvere i paradossi generati dalla suddivisione all'infinito, Leucippo e Democrito (anch'essi filosofi della tradizione eleatica) introdussero il concetto di atomo (a-tomo dal greco τομος taglio, divisione, con l’aggiunta del-l’ α privativo) quale elemento primordiale indivisibile che compone il mondo.

Supposto il mondo pieno, sorge quindi spontanea la domanda come siano e come siano disposti gli atomi8 che lo compongono. Ora, come già è stato osservato, i modi attraverso i quali  elementi uguali riempiono il piano (ma anche lo spazio) senza lasciare vuoti sono limitati e la rappresentazione delle limitate possibilità è magistralmente raffigurata nelle tassellazioni di M.C. Escher. E' quindi affascinante ritenere che le tassellature di Escher rispecchino in qualche modo l’essenza stessa dello spazio e del tempo. 
Questa suggestione si rafforza al pensiero che la moderna fisica delle particelle, che si pone in chiave moderna il problema della ricerca dell'atomo (nel senso di Leucippo e Democrito) usa, nel ricercare gli elementi costituenti la materia, lo stesso formalismo algebrico usato dai cristallografi per dimostrare la finitezza del wallpaper group. La ricerca di elementi che mantengono le loro proprietà alla presenza di trasformazioni sono alla base della moderna fisica teorica.9 
Figura 5
Ma la suggestione continua considerando le trasfor-mazioni di spazi tassellati, cioè quelle costruzioni che Escher chiamava metamorfosi, illustrate magistralmente in lavori come Verbum (fig. 5), oppure negli assoluti capolavori escheriani Metamorfosi II e Metamorfosi III, che suggeriscono mondi pieni, parmenidei, senza vuoti, ma in continua trasformazione. 
Questo modo di vedere il cambiamento come continuo passaggio tra mondi pieni, da una tassellatura all’altra, suggerisce una possibile soluzione della rappresentazione del tempo come ulteriore coordinata spaziale, così come esso viene considerato dalla teoria della relatività di Albert Einstein. Qui lo spazio-tempo è visto come un continuo ed il tempo è considerato come una ulteriore dimensione che si aggiunge alle tre dimensioni spaziali (alto-basso, destra-sinistra, avanti-indietro). Un punto quindi non si muove nello spazio ma rappresenta una traiettoria nello spazio-tempo: è come se ogni istante fosse già presente su di una pellicola cinematografica tridimensionale. In questo continuo spaziotemporale atomi quadridimensionali potrebbero riempire  il tutto senza lasciare spazi vuoti e senza ostacolare il movimento, risolvendo in modo definitivo il paradosso del moto di Parmenide. Questa interpretazione piaceva allo stesso Albert Einstein che, almeno in questo senso, arrivò a definirsi parmenideo. L’occasione gliela offrì un colloquio con Karl Popper, il quale aveva prospettato a Einstein questa idea, ossia: “che il mondo fosse un universo chiuso a quattro dimensioni, nel quale il cambiamento era un’illusione umana, o qualcosa di molto simile”. Ricorda Popper: “Egli era d’accordo che questa fosse la sua opinione e discutendo di ciò io lo chiamai Parmenide”.10 
            
Figura 6
Fino al 1972, anno della sua morte, Escher produsse una serie di lavori stupefacenti basati sulla tassellazione del piano e dello spazio, esplorando 16 dei 17 gruppi di simmetrie. 
Le figure da lui sviluppate su questa linea di ricerca combinano elementi contrapposti come il giorno e la notte (fig. 6), l’acqua e l’aria, il bene ed il male, raffigurati come atomi che compongono senza lasciare spazi vuoti il nostro mondo. Essi illustrano in maniera suggestiva la costrizione del determinismo e la conseguente negazione del movimento (fig. 7).
Figura 7
         
1 Koloman Moser (1869 – 1918) curava la rivista della Secessione viennese Ver Sacrum. In più riprese pubblicò sulla rivista tassellature periodiche basate su figure che rappresentavano elementi naturali destinati ad essere usati come decori per carta da parati.

2 Evariste Galois (1811- 1832) ragazzo prodigio e geniale matematico, di carattere focoso venne espulso dall’Ecole Normale e poi due volte arrestato per le sua attiva militanza politica repubblicana. Morì durante un duello. Avendo intuito che sarebbe morto durante quel duello, passò tutta la notte precedente a cercare di sistemare i suoi lavori matematici, infatti vi sono delle annotazioni in cui afferma che gli manca il tempo per un’esposizione più completa e chiara. In quella notte completò la teoria algebrica dei gruppi, definendo i gruppi di permutazioni che descrivono le radici di un dato polinomio.

3 In termini più matematici, si chiama «isometria» una combinazione di traslazioni lungo una retta (verticale o orizzontale), rotazioni attorno a un punto (ad esempio, si passa da `b' a `p' mediante una rotazione di 180°, e riflessioni rispetto ad una retta (ad esempio, si passa da `b' a `d' mediante una riflessione rispetto ad una retta verticale, e da `b' a `p' mediante una riflessione rispetto ad una retta orizzontale).  Una tassellazione è isoedrica se dati due qualunque tasselli esiste una isometria che sposta localmente uno dei due tasselli nell'altro, ma lascia globalmente invariata la tassellazione.

4 La questione fu posta da Hilbert nella prima parte del 18mo problema: esiste per qualsiasi spazio pluridimensionale un numero finito di gruppi basati su trasformazioni isomorfe che riempiono senza vuoti lo spazio. Nella seconda parte del 18mo problema Hilbert si domandava quale fosse la migliore disposizione di sfere per riempire lo spazio minimizzando lo spazio vuoto. Questo problema apparentemente banale è risultato particolarmente ostico e solo nel 1998 è stato dimostrato da Tomas Hales con una tecnica che prevede l’uso del calcolatore che a tutt’oggi si trova ancora al vaglio della comunità matematica.

5 Il numero di gruppi di simmetria in uno spazio a quattro dimensioni ammonta a 4783.

6 Parmenide è un filosofo presocratico di Elea, colonia greca situata sulla costa della Campania a sud di Paestum. Secondo la testimonianza di Platone, Parmenide nacque tra il 515 e il 510 a.C.; secondo la cronologia di Apollodoro accettata da Diogene Laerzio nacque intorno al 540 a.C. Discepolo della scuola pitagorica, è considerato il fondatore della scuola di Elea che annoverò tra i suoi discepoli Zenone. Il suo pensiero è esposto in un poema didascalico in versi che la tradizione ha intitolato Intorno alla Natura.

7 Karl R. Popper (1902 - 1994), epistemologo viennese considerato uno dei più influenti filosofi della scienza del Novecento. L’elenchus è tratto dal articolo di Popper Come la luna può rischiarare le due vie di Parmenide tratto da Il Mondo di Parmenide (2001) .

8 L'atomo, nella concezione della fisica moderna venne introdotto nel 1808 da John Dalton che lo chiamò così perché inizialmente era considerato l'unita più piccola ed indivisibile della materia è la più piccola parte di ogni elemento esistente in natura che ne conserva le caratteristiche chimiche. Verso la fine dell'Ottocento (con la scoperta dell'elettrone) fu dimostrato che l'atomo non era indivisibile, bensì a sua volta composto da particelle più piccole (alle quali ci si riferisce con il termine "subatomiche"). 

9 Il Modello Standard della fisica delle particelle è una teoria che descrive insieme tre delle quattro forze fondamentali, cioè l’interazione nucleare forte, l’elettromagnetismo e l’interazione nucleare debole (queste ultime due unificate nell’interazione elettrodebole), nonché la funzione e le proprietà di tutte le particelle (note ed osservate) che costituiscono la materia. Si tratta di una teoria di campo quantistica, coerente sia con la meccanica quantistica che con la relatività speciale, basata sulla teoria dei gruppi. Il comportamento delle particelle può essere descritto complessivamente in modo generale ed esatto usando un gruppo unitario chiamato gruppo di Gauge. Il gruppo di Gauge dell’interazione forte è chiamato SU(3), mentre quello dell’interazione elettrodebole è chiamato SU(2)×U(1): perciò il modello Standard è noto anche come SU(3)×SU(2)×U(1). I gravitoni, cioè le particelle che si pensa debbano mediare l’interazione gravitazionale, non sono ancora considerati nel Modello Standard il gruppo che comprende anche la loro presenza e chiamato SU(5) o la teoria del tutto è ancora in attesa di essere convalidato ed accettato dalla comunità dei fisici.

10 cfr. K. Popper, La ricerca non ha fine. Autobiografia intellettuale, p. 133