Παν είναι αριθμός, ”tutto è numero” era il motto dei Pitagorici. E per numeri si intendevano quelli interi, i numeri naturali, quelli che servono per contare, per mettere in ordine.

Disintossicato dal Continuo e dall'Infinito, lasciatemi alle spalle le teorie di Cantor e la filosofia di Parmenide, voglio assaporare il Discreto, godere del Finito. Voglio elencare, numerare, mettere in ordine.

E mettere le cose in rapporto con i numeri finalmente mi da pace.

Pagine

giovedì 3 ottobre 2013

Lettera a Epicuro



Carissimo Epicuro

Scusa se ti scrivo solo adesso, ma questa la consideravo una lettera importante. Sei il mio filosofo preferito e mi considero un tuo seguace un “Epicuri de grege porcum” come si definì Orazio scrivendo al poeta Tibullo[1]. Ma prima di confrontarmi con te dovevo mettere a posto alcuni aspetti della mia “Weltanschauung”.

A essere sincero in un primo momento, quando in prima liceo incontrai la tua filosofia, non mi avevi un granché colpito. I motivi erano molteplici. Innanzitutto perché filosofo dell’Ellenismo, eri relegato alla fine del testo di storia della filosofia, trattato in poche pagine, dopo interi capitoli dedicati a Platone e Aristotele. La posizione nel libro di testo rispecchiava inoltre anche il periodo dell’anno scolastico durante il quale veniva affrontato il tuo pensiero. A ridosso della fine dell’anno scolastico, quando i giochi per la pagella erano ormai fatti, il mio interesse per la filosofia, messo tra l’altro a dura prova dal pensiero di Aristotele e dall’estate incombente non era certamente ai massimi livelli. Inoltre la nostra professoressa di filosofia, forse anche lei stufa di una classe indisciplinata, ti aveva abbastanza sorvolato. Mi eri comunque risultato simpatico: Il tuo concetto di amicizia, la ricerca del piacere e il fatto che la chiesa ti aveva osteggiato mi avevano colpito, ma in fondo non ti consideravo altro che un’espressione della decadenza della civiltà greca nel periodo dell’Ellenismo.

Ti ho incontrato nuovamente nel corso dell’ultimo anno di liceo durante le lezioni di letteratura greca. Al mio professore di greco e latino, che si chiamava Giorgio Daprà, piaceva, partendo dalla letteratura, spaziare nel campo della filosofia e della scienza e verso la fine dell’anno scolastico affrontò una delle controversie più importanti della filosofia: il problema del libero arbitrio, la contrapposizione tra libertà e necessità. Lo fece in maniera subdola ingaggiando con ognuno dei suoi allievi una discussione sulla coerenza concettuale delle filosofie correnti. Ognuno di noi doveva scegliere il suo filosofo preferito, prepararsi su come questo aveva affrontato la suddetta controversia (e non solo) e quindi durante la lezione difenderne le posizioni. Uno dopo l’altro smontò, certo anche grazie alla sua esperienza e capacità dialettica, filosofi come Cartesio, Kant, Kierkegaard e infine, con grande dispiacere della grande parte dei miei compagni di classe, Friedrich Nietzsche. Io ero l’ultimo ed ero sicuro di uscirne vincente grazie al mio assoluto credo nel materialismo dialettico. Fu un disastro, ricordo la difficoltà di salvare il libero arbitrio e la necessità di mutare il mondo in un contesto deterministico.  Mi è rimasta impressa la sensazione di impotenza logica difronte alle sue terribili obiezioni. Alla fine della discussione completamente disorientato chiesi: ma professore ma allora qual è una filosofia coerente che resiste a tutte queste obiezioni?  Il professore dopo aver consultato il suo orologio rimandò la risposta alla prossima lezione. Mi ricordo come se fosse ieri quel giorno, quando la mattina andando a scuola non vedevo l’ora di sentire la rivelazione da parte del professor Daprà. Ho ancora davanti ai miei occhi il professore, con la camicia come al solito senza cravatta, ma allacciata anche nell'ultimo bottone, sedersi alla cattedra e dopo aver compilato con calma il registro ed aver sistemato gli inseparabili libri sulla scrivania, alzare gli occhi, stupito dall’assoluto ed inusuale silenzio che aleggiava in classe, dire: Oggi vi parlerò di Epicuro.

Restammo profondamente delusi. Ci aspettavamo un filosofo moderno, non so Sartre oppure Popper. Quale contributo poteva dare un filosofo vissuto nell’Ellenismo, tra l’altro con fama di gozzovigliatore, alle nostre aspettative esistenziali.

Daprà ci riespose, rinfrescando quanto avevamo studiato in prima liceo, la tua filosofia:
La realtà è composta da atomi e vuoto, i primi lanciati su traiettorie deterministiche che ogni tanto erano deviate dalla parenclisi[2] il “movimentum ad latum” che Lucrezio, tuo seguace e divulgatore, chiamerà “clinamen”.  Il mondo era soggetto a leggi deterministiche, i fenomeni naturali potevano essere spiegati senza fare ricorso al sovrannaturale, e il libero arbitrio era reso possibile da un’indeterminazione casuale che era intrinseca al movimento altrimenti rettilineo ed equiveloce degli atomi.  Niente dualismo pensiero-materia. Il mondo era quello che percepiamo con i sensi. Solamente ed esclusivamente come appariva: pura "doxa". Quindi niente "aletheia" eleatica, niente "episteme" platonica, niente "res cogitans" cartesiana, niente "noumeno" kantiano, niente che vada oltre la sensazione sensoriale e quindi niente entità sovrannaturali, niente dio. A dire il vero gli dei non erano completamente esclusi ma erano relegati negli "intermundia" a occuparsi dei fatti loro, incuranti degli uomini e del loro destini. Destini che potevano quindi evolvere liberamente senza imbarazzare le capacita di preveggenza di esseri onniscienti[3].
Inoltre niente mondi sovrannaturali, niente vita dopo la morte e quindi niente paura della morte. L’etica non era basata su concetto delle punizioni o dei benefici divini[4], ma sulla necessità di sfuggire al dolore, sulla ricerca del piacere. Il piacere non era però qualcosa che andava continuamente alimentato ma, proprio perché inteso come privazione del dolore, non poteva aumentare d’intensità oltre ad un certo punto[5]. Raggiunta l’atarassia “l’assenza di agitazione” attraverso il tetrafarmaco, che permette di vincere la paura degli dei, della morte, della mancanza del piacere e del dolore, si raggiunge la salute dell'anima non più costretta ad un'affannosa ricerca della felicità.

In seguito, ormai studente universitario, comprai la raccolta delle tue opere in un’edizione a cura di Graziano Arrighetti edita da Giulio Enaudi. Ho letto e riletto la lettera a Erodoto, quella a Pitocle e quella a Meneceo, le Massime capitali, le Sentenze Vaticane. Ho seguito i tuoi insegnamenti, convinto assertore dell’atomismo e delle sue conseguenze etiche e morali. Ho vissuto nascostamente, evitando la politica e fondando sull’amicizia e sulla giustizia, intesa come sistema di regole vantaggiose per i rapporti sociali, le basi etiche del mio comportamento.

Ma c’era un aspetto della tua filosofia che mi lasciava insoddisfatto. Riguardava lo spazio in cui si muovevano gli atomi: Questo era secondo te infinito in estensione e durata. Ma la contrapposizione tra la natura discreta e quindi finita degli atomi e la natura continua ed infinita dello spazio mi disturbava. A dire il vero, rispetto agli atomisti più antichi avevi fatto un uso più cauto dell’infinito. Infatti, secondo Democrito gli atomi erano d’infinite tipologie[6]. Tu avevi capito che per generare la moltitudine delle cose non erano necessari altrettanti elementi primordiali. Il tuo seguace Lucrezio porterà come esempio le lettere dell’alfabeto, che anche se finite, possono generare innumerevoli parole.

In un primo momento il tuo ragionamento a favore dell’estensione infinita sia temporale che spaziale dello spazio mi era parso ineccepibile. Avevi applicato il ragionamento ontologico di Parmenide sull’essere al tutto:

Il tutto sempre fu com’è ora, e sempre sarà, poiché nulla esiste in cui possa tramutarsi, né oltre il tutto non vi è nulla che penetrandovi possa produrre mutazione
[Epistula ad Herodotum 39,2]

Il tutto è l’essere, il non essere non è, e quindi nulla è al di fuori del tutto. Ne consegue l’impossibilità teorica di un inizio e di una fine e l’immutabilità del tutto.
Parmenide applicando lo stesso ragionamento all’essere aveva negato il vuoto e quindi il movimento. Ma non era proprio partendo dalla confutazione sensoriale della non esistenza del movimento che avevi impostato la teoria atomistica?[7]. Non è contraddittorio, caro maestro, da un lato usare un ragionamento per postulare l’infinità del tutto e allo stesso tempo confutare le conseguenze dello stesso ragionamento sull’essere. Non sono poi l’essere e il tutto, rispetto al ragionamento ontologico, equivalenti?

La scuola eleatica, aveva confutato l’esistenza del movimento, relegandolo a pura apparenza e considerandolo fallace sensazione provenienti dai sensi.  Inoltre Zenone di Elea, allievo di Parmenide, per rafforzare il ragionamento sull’essere di Parmenide, che negava il movimento, aveva costruito una serie di esperimenti mentali che portavano a delle situazioni paradossali e che contraddicevano il concetto di movimento. Il più famoso, quello di Achille e la tartaruga, afferma che Achille, pur correndo più velocemente della tartaruga, non la raggiungerà mai, in quanto dovrà in un certo istante raggiungere la posizione in cui la tartaruga si trovava quando era partito[8]. Nel frattempo la tartaruga si era spostata in una nuova posizione e in un secondo istante Achille avrebbe dovuto raggiungere anche quel punto e così via all’infinito. Il paradosso presuppone che lo spazio e il tempo siano divisibili all’infinito e può essere formalmente risolto ricorrendo alla moderna analisi matematica applicando le proprietà delle serie infinite convergenti. La soluzione non lascia completamente soddisfatti e una moltitudine di matematici e filosofi continua a cercare soluzioni più convincenti. Ancora recentemente è apparsa su Le Scienze la notizia di una "definitiva" soluzione dei paradossi grazie a "caratteristiche fondamentali" dell’analisi non-standard[9].
I problemi legati al concetto di divisibilità infinita dello spazio e del tempo e le antinomie conseguenti sono state in fondo tra le motivazioni preponderanti dello sviluppo dell’atomismo. Il concetto di a-tomo (l’elemento indivisibile) nasceva proprio per ovviare alle contraddizioni prodotte dalla filosofia eleatica tra il mondo della ragione (aletheia) e mondo della percezione (doxa). E anche tu, caro Epicuro, in fondo hai risolto la questione dell’immutabilità dell’essere in maniera pragmatica al modo del cinico Diogene di Sinope che per confutare le tesi di Zenone contro l'esistenza del movimento si sarebbe semplicemente alzato, e messo a camminare (solvitur ambulando!)[10]. Anche tu, caro Epicuro, affermi che il vuoto esiste, a dispetto delle elucubrazioni di Parmenide, perché senza vuoto il movimento non è possibile. Il movimento fa parte della nostra esperienza quotidiana e quindi il vuoto esiste. Ora proprio in virtù del principio della supremazia della doxa sull’aletheia che la soluzione del paradosso di Zenone, attraverso l’applicazione dei metodi dell’analisi matematica, ci deve lasciare insoddisfatti. Infatti, il concetto della retta geometrica divisibile all’infinito attraverso il processo della dicotomia è un costrutto puramente teorico. Applicare questo concetto alla retta temporale è ancora più arbitrario. Il tempo è da noi percepito come successione di istanti ordinati, dove per ogni istante esiste un istante successivo ed uno precedente. Questo non vale nello spazio, dove per ogni punto della retta è possibile una volta definito un punto vicino, trovarne un altro ancora più vicino. Del resto, caro Epicuro, anche Emmanuel Kant considera il tempo una grandezza discreta alla base del processo di numerazione e quindi alla base dell’aritmetica in contrapposizione allo spazio, grandezza continua e quindi fondamento della geometria. Se non accettiamo la continuità del tempo, ma consideriamo quest’ultimo una successione discreta d’istanti, la distanza tra questi non può essere ridotta a piacere. Ma la somma infinita di eventi temporali finiti, la cui diminuzione in estensione è limitata, è infinita e quindi Achille non riuscirebbe mai a raggiungere la tartaruga. Caro Epicuro, è evidente che Achille raggiungerà la tartaruga e che quindi se consideriamo la retta temporale non divisibile all’infinito né segue che anche la retta spaziale deve possedere la stessa proprietà. Infatti, affinché il processo temporale non duri all’infinito, è necessario che la dicotomia spaziale abbia fine.  Quindi, al più tardi, quando Achille si avvicina alla tartaruga per meno di una lunghezza “atomica” (nel senso di non più divisibile) il processo dicotomico si interrompe per raggiunto limite[11]. Quindi non solo la materia ha nell’atomo il suo elemento primordiale indivisibile, ma anche lo spazio e il tempo non sono divisibili all’infinito[12]
Caro Epicuro, credo che l’atomismo non sia una caratteristica della sola materia ma che anche lo spazio ed il tempo non siano divisibili all’infinito. Del resto permettimi di dire che questa soluzione è più elegante della tua poiché materia, spazio e tempo hanno una struttura equivalente e questo permette di risolvere non poche questioni. Ho cercato di convincerti solo con considerazioni che potevano essere fatte anche ai tuoi tempi senza tirare in ballo le moderne teorie come la meccanica quantistica che si fonda proprio sul concetto di “quanto” e che ritiene che la natura dell’essere sia discreta e non continua.

A questo punto affrontiamo l’ultima questione: Il concetto di spazio infinito, senza limite, nel quale si muovono gli atomi e nel quale qualunque grandezza può essere aumentata a piacere, incrementata all’infinito. Concorderai che uno spazio che possa essere aumentato a piacere, quando invece non può essere ridotto indefinitamente, presenta una certa asimmetria e che quest’asimmetria da un certo fastidio.  

Il tuo concetto di spazio infinitamente esteso e temporalmente eterno proprio perché fondato sul ragionamento ontologico parmenideo rende il tuo infinito in atto. Il tuo infinito, caro Epicuro, esiste per se, non come infinito in potenza, fine cui tende una grandezza in espansione. È l’infinito categormatico della scolastica, l’infinito di Georg Cantor, che ha portato alla crisi dei fondamenti della matematica dell’inizio del novecento. Qualora si postuli la sua esistenza, ci s’imbatte in antinomie irrisolvibili. Queste contraddizioni dovrebbero fare concludere che l’ipotesi di partenza, l’esistenza dell’infinito in atto, è falsa.  

Per farti capire meglio i problemi che l’infinito in atto può generare, senza addentrarmi nella moderna teoria degli insiemi infiniti, permettimi di esporti una metafora escogitata da grande David Hilbert per illustrare il concetto di equipotenza degli insiemi infiniti. Devi sapere che la definizione d’insieme infinito si base proprio su questo concetto: Un insieme si dice infinito se esiste un’applicazione biunivoca dell’insieme stesso in un suo sottoinsieme.

David Hilbert aveva ipotizzato l’esistenza di un albergo con infinite stanze. Ci si trovava in alta stagione e tutte le stanze dell’albergo erano occupate. A un certo punto si presenta un nuovo cliente. L’addetto alla portineria, cui spettava il compito di sistemare gli ospiti nelle stanze, riesce a liberare una stanza con un semplice stratagemma: spostando l’ospite della stanza numero 1 in quella numero 2, quello della numero 2 nella 3 e così via per tutti gli ospiti dell’albergo, libera la stanza numero 1 dove può fare accomodare il nuovo ospite.
Con questo trucco riesce a sistemare anche un numero maggiore m di ospiti. Basta spostare l’ospite della stanza 1 nella stanza 1+m. quello della stanza 2 nella stanza 2+m e così via. Alla fine si liberano m stanze. Anche se arriva un numero infinito di ospiti nuovi, il furbo addetto alla portineria riesce a sistemare i nuovi arrivati. Basta spostare gli ospiti delle stanze nella stanza con il numero doppio rispetto a quello attuale (dalla 1 alla 2, dalla 2 alla 4, e così via). Tutte le stanze con il numero dispari, che sono infiniti, si liberano e quindi è possibile sistemare tutti gli ospiti.
Nella zona intorno all’albergo ci sono altri infiniti alberghi con infinite stanze e a causa di un evento, che David Hilbert non specifica, tutti gli alberghi tranne il nostro devono chiudere. Tutti gli ospiti degli infiniti alberghi con infinite stanze si presentano quindi alla portineria. Il nostro portinaio non si perde d’animo e consegna a ognuno dei vecchi e nuovi ospiti un cartello con scritta una coppia di numeri (n,m) in cui n indica l’albergo di provenienza e m la relativa stanza. Il portinaio chiede poi agli ospiti di disporsi in quadrato secondo il seguente schema:

(1,1)  (1,2)  (1,3)   (1,m)  

(2,1)  (2,2)  (2,3)    (2,m)  

(3,1)  (3,2)  (3,3)    (3,m)  

(4,1)  (4,2)  (4,3)    (4,m)  

                      …    

(n,1)  (n,2)  (1,3)    (n,m)  


                      …    

Il portinaio può ora assegnare una stanza ad ciascun ospite secondo un criterio ordinato, ad esempio numerando in successione gli ospiti disposti lungo le diagonali:

(1,1)→ 1; (2,1)→ 2; (1,2)→ 3; (1,3)→ 4; (2,2)→ 5; (3,1)→ 6; (4,1)→ 7; (3,2)→ 8;

con il numero assegnato ora ogni ospite può recarsi alla sua stanza e alla fine tutti gli infiniti ospiti degli infiniti alberghi trovano posto.

Come vedi, caro Epicuro l’infinito attuale crea non poche situazioni paradossali. Ora nell’albergo di Hilbert, che è pieno per definizione, si riescono a trovare delle stanze vuote anzi si riescono a trovare infinite stanze vuote. Devi ammettere che siamo difronte a una bella contraddizione. I matematici con queste situazioni ci vanno a nozze. Loro la fanno semplice: Oh guarda, sono inciampato in una cosa paradossale, logicamente contraddittoria, che non dovrebbe esistere. Ma andiamo a vedere cosa succede se invece la affermo come vera ed esistente, vediamo a cosa portano i ragionamenti successivi e conseguenti.  In questo modo sono state sviluppate alcune delle più interessanti teorie matematiche. Per esempio i numeri complessi sono nati proprio così. Alla domanda se esiste la radice quadrata di numero negativo, la risposta dovrebbe essere no. Infatti, ogni numero moltiplicato per se stesso, sia che sia positivo sia che sia che negativo, da una grandezza positiva e quindi la radice di un numero negativo non esiste. Nicolò Tartaglia nel XVI secolo definì, incurante della loro contraddittorietà, le radici dei numeri negativi rischiando il rogo per eresia. Cartesio in seguito chiamò la radice di meno uno il numero immaginario ed in seguito grazie ai lavori di sistemazione di Eulero e quindi di Gauss assunsero piena cittadinanza nel modo matematico con il nome di numeri complessi. Almeno i nomi attributi a questo numeri “che non dovrebbero esistere” testimoniano l’imbarazzo di chi li aveva proposti. I numeri complessi trovano oggi molte applicazioni semplificando molte teorie matematiche. La loro contraddittorietà però resta e le conseguente situazioni paradossali. Ad esempio retta y=ix, dove i è l’unità immaginaria, ha la stana proprietà che risulta ortogonale a se stessa[13].

Ma torniamo alla questione dell'infinito. Sul concetto d’insieme infinito come insieme in corrispondenza biunivoca con un suo sottoinsieme Georg Cantor ha basato la sua teoria degli transfiniti. Una teoria che creò un sacco di problemi ai fondamenti della matematica e che David Hilbert voleva a tutti costi ridurre al suo disegno logicistico, affermando che Nessuno riuscirà a cacciarci dal Paradiso che Cantor ha creato per noi [14], senza per altro riuscirvi. Infatti le antinomie intrinseche alla teoria portate alle estreme conseguenze da Kurt Goedel, portarono alla dimostrazione dell’incompletezza dell'aritmetica. Quindi caro Epicuro, rinunciare all’infinito in atto non salva unicamente la simmetria del tutto ma ci preserva anche da contraddizioni. Che si possa fare a meno dell’infinito in atto lo dimostra la matematica intuizionista che accetta solo le dimostrazioni in cui questo non compare. Per il principio di minima complessità l’esistenza dell’infinito attuale non è necessaria.

Il mondo è discreto e finito. Godiamocelo così come è.




 




[1] Orazio, Epist., I, 4, 10
[2] Lettera ad Erodoto, 42,10
[3] Framm. 374 Usener (in Manuale di filosofia. Dalle origini a oggi, ed. Lulu.com p.60)
[4] Lettera a Meneceo 123-124
[5] Lettera a Meneceo 128-129
[6] Diehls Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, 67A 9
[7] Lettera ad Erodoto 36-42
[8] Diehls Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, 29A 26, Aristotele Physica Z9.239 b 14
[9] “Per due millenni e mezzo i paradossi di Zenone sono stati fonte di discussione e oggetto di analisi, ma solo oggi, grazie a una formulazione dell'analisi matematica che è stata sviluppata nell'ultimo decennio, è possibile risolverli [...] Per molti secoli la logica di Zenone è rimasta pressoché intatta, e ciò dimostra la tenacia dei suoi argomenti” in William I. McLaughlin, "La risoluzione dei paradossi di Zenone sul moto", Le Scienze, N. 317, 1994, pp. 60-66.
[10] Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei filosofi, Libro VI
[11] Già Aristotele nel commentare i paradossi di Zenone nella Fisica (Z9. 239 b9) affermava che questi presupponevano che il tempo dovesse essere divisibile allo stesso modo dello spazio.
[12] Nella fisica quantistica si definisce la lunghezza di Planck ricavata a partire dalle tre costanti fisiche fondamentali: la velocità della luce, la costante di Planck e la costante di gravitazione universale. La teoria corrente suggerisce che una lunghezza di Planck sia la più piccola distanza oltre la quale il concetto di dimensione perde ogni significato fisico.
[13] La retta y=ax ha per retta ortogonale la retta y=-(1/a)x. Se consideriamo la retta y=ix la sua retta ortogonale e y=-(1/i)x. Ma  se moltiplichiamo sia numeratore che denominatore di -(1/i) per i otteniamo -(1*i)/(i*i) che è uguale ad i. Quindi y=ix è ortogonale a y=ix, quindi a se stessa
[14] David Hilbert, Über das Unendliche, Mathematische Annalen, 1826, p 170

domenica 15 settembre 2013

Dai Matematici agli Hippies, lo strano percorso dell’arte di M.C. Escher

Dai Matematici agli Hippies, lo strano percorso dell’arte di M.C. Escher


Escher è generalmente considerato l’artista, che più di altri, è caro alle persone di scienza, in particolare ai matematici. Le sue opere, infatti, sono spesso usate per illustrare libri di matematica e geometria. Si trovano sulle copertine di libri di contenuto scientifico oppure illustrano, nelle pagine culturali dei quotidiani, articoli di varia natura ma sempre in qualche modo legati alla scienza. Ma Escher non è amato solo dai matematici, negli ultimi decenni la sua fama si è estesa molto oltre l’ambiente scientifico e le sue mostre, che ormai si tengono in tutto il mondo, battono tutti i record riguardo al numero di visitatori1

fig. 1 Eight Heads (B90), xilografia febbraio 1922
Escher in vita non ebbe questi riconoscimenti. Il suo rapporto con il mondo dell’arte e specialmente con la critica era difficile. La sua maestria tecnica come incisore era indiscussa, ma le sue opere erano considerate poco artistiche. Ancora oggi alcuni critici d’arte, a dispetto del successo di pubblico, considerano le sue opere cervellotiche e fredde2
.
In vita Escher dovette aspettare fino agli anni sessanta, quando ormai aveva 60 anni, per avere qualche riconoscimento. L’occasione fu una mostra tenuta nel 1954 ad Amsterdam in concomitanza con l’annuale congresso mondiale di matematica. Fu in quell’occasione che il mondo della matematica scopre Escher instaurando quel legame che ha portato la sua arte a essere conosciuta in tutto il mondo.

Escher era molto interessato alla matematica, ma avendo avuto una formazione matematica che non andava oltre quella delle scuole superiori, non si considerava un matematico. Il suo interesse, mediato attraverso l'arte grafica, era rivolto sopratutto alla geometria ed in particolare alle proprietà delle figure e della rappresentazione dello spazio sul piano. Già da studente quando s’imbatté per la prima volta nel problema della tassellatura del piano con forme irregolari Escher intuitivamente si impose alcune regole, in modo da rendere il problema non banale, quale quella che profili adiacenti dovevano avere colori contrastanti e che le figure dovevano essere riconoscibili e concrete (fig. 1). La scoperta dei mosaici regolari dell’Alhambra di Grenada, durante il suo primo viaggio in Spagna, nell’autunno del 1922, risvegliò, per contrasto con le forme puramente geometriche delle tassellature arabe, l’interesse per la tassellatura con forme associabili a oggetti o forme naturali.

fig. 2 Disegno dei rivestimento da eseguire con piastrelle
 quadrate di maiolica, acquerello 1926


La prima occasione di affrontare il problema della tassellatura in maniera sistematica Escher l’ebbe nel 1926 quando nella sua casa di Roma, dovendo cambiare le piastrelle dello studio e della terrazza, decise di definirne il disegno e si trovò ad affrontare il problema delle diverse possibili simmetrie con le quali è possibile tassellare il piano (fig. 2) . Escher affrontò il problema in maniera rigorosa e metodica costruendo una propria classificazione delle diverse simmetrie3Il suo era un approccio geometrico basato sulla grafica che lo portò a enunciare addirittura un teorema sulla proprietà dei triangoli4

L’uso della matematica nello sviluppo della sua arte si accentuò dopo la mostra tenuta in concomitanza con il congresso internazionale di matematica ad Amsterdam del 1954. Infatti, da quel momento molti matematici tennero regolarmente contatti con Escher. Particolarmente intensi furono i contatti con il matematico canadese H.S.M. Coexter che illustrò a Escher le tecniche delle proiezioni iperboliche di Poincarè usate in seguito nelle tassellature al limite5. Con il fisico e matematico britannico Sir Roger Penrose invece ci fu un intenso scambio di articoli e lettere riguardanti le figure impossibili come il triangolo di Penrose usato in Waterfall (B439) e la scala di Penrose usata in Ascending e Descending (B435)6. Intense e molto care a Escher erano inoltre le conversazioni con la cristallografa MacGillavryche portarono alla pubblicazione nel 1965 di Symmetrie Aspects in M.C. Escher Periodic Drawings. Regolarmente s’incontrava con Hans de Rick, in arte Bruno Ernst, un monaco insegnante di matematica con il quale amava discutere della struttura matematica delle sue opere. Escher divenne molto popolare nel mondo scientifico e nell’aprile 1961 la rivista Scientific American gli dedicò la copertina ed un articolo di Martin Gardner. 
L’amore tra Escher e i matematici era corrisposto e quindi questi iniziarono a comprare le sue opere, a usarle per illustrare i propri articoli e testi e a diffonderle appendendole nei propri studi ,nelle università e nelle scuole dove insegnavano.

Molto probabilmente alcune delle opere di Escher finirono nei campus della California e qui vennero scoperte dal nascente movimento hippie. Nacque subito un altro fortissimo amore, questa volta però assolutamente non corrisposto e che col tempo si trasformò in una vera avversione di Escher verso i figli dei fiori. Gli hippies pubblicavano generalmente senza permesso le opere di M.C. Escher trasformandoleed abbinandole ad altre immagini con grande disappunto di M.C. Escher. Ma a dispetto dell’amore non corrisposto, la presenza delle opere di M.C. Escher sui poster psichedelici, sulle copertine degli LP e sulle T-shirt, contribuì più di altri fattori alla divulgazione della sue opere.

L’interesse della generazione hippie all’opera di Escher aveva naturalmente tutta un’altra motivazione che quella dei matematici. I figli dei fiori avevano associato le stranezze dei mondi escheriani alle esperienze psichedeliche e all'uso di stupefacenti da parte di Escher stesso. Oltre alle stranezze e alle deformazioni spaziali che potevano essere associati all’uso di allucinogeni, a sostegno di questa interpretazione venivano indicati alcuni elementi iconografici dell’opera di M.C. Escher.

fig, 3 Balcony (B334), litografia 1945
La prima indicazione iconografica si trovava nell’opera Balcony (fig. 3) dove al centro dell’opera, evidenziata e risaltata dal rigonfiamento spaziale, secondo l’interpretazione degli hippies, era posta una pianta di marijuana. Infatti, osservando la stampa in questione, sul balcone al centro del quadro è rappresentata una pianta dalle foglie a petalo che assomiglia a una pianta di canapa indiana. Le foglie sono picciolate e palmate, con foglioline lanceolate a margine dentato-seghettato, proprio come quelle della cannabis indica. La pianta si trova al centro del quadro messa in evidenza dalla prospettiva deformata. Ma si trattava di una pura coincidenza ed Escher, come testimoniato dall’amico fraterno Bruno Ernst9, era lontanissimo da quel tipo di suggestioni. Si trattava invece di una serie di stampe fatte sul tema delle deformazioni spaziali che Escher sperimentò con paziente lavoro e che consisteva nel proiettare un’immagine su di un nuovo piano, attraverso un reticolo che trasformava le line rette in linee curve. L’immagine di partenza era una vista della città di Senglea a Malta.  


fig 4 Senglea Malta (B276), 
xilografia a tre colori 1935
Escher la disegnò durante uno dei suoi viaggi nel mediterraneo nel 1935. Da quel viaggio nacque la xilografia Senglea (fig 4) che sarebbe poi servita come base per le sperimentazioni sulle deformazioni spaziali, sia per Balcony, sia per un’altra ancor più sorprendente deformazione dello spazio realizzata in Print Gallery (fig 5). La deformazione dell’immagine era realizzata attraverso un ingrandimento associato a una rotazione, una trasformazione matematica, intuita da Escher, ma definitivamente risolta dal matematico olandese Hendrik Lenstra nel 200310   .



fig. 5 Print Gallery (B410), litografia1956

A dispetto di Escher gli hippies trovavano riferimenti iconografici che alludevano ai mondi psichedelici, anche in altre sue opere. Tra queste va citata in primo luogo Reptiles (fig 6 ) del 1943 una delle prime opere "surrealiste" di Escher. Reptiles è un esempio di quelle opere di M.C. Escher che partendo da una tassellatura bidimensionale compiono un ciclo nello spazio. Il prototipo di queste opere è Cycle (B395) del 1938. A questo filone appartengono anche, Encounter (B331) del 1944, Magic Mirror (B338) del 1946 e Predestination (B372) del 1951.
fig 6 Reptiles (B327), litografia 1943

In Reptiles, in risalto in basso a destra, è ritratto un libretto con la scritta JOB. Si tratta di un pacchetto di cartine per sigarette della marca JOB, azienda francese specializzata in carta da tabacco. Le cartine JOB si diffusero nella California degli ultimi anni 60 grazie alle confezioni ispirate all’arte psichedelica e ai formati adatti al consumo della cannabis indiana.
fig 7 Poster pubblicitario delle
cartine JOB realizzato da
 Alphonse Mucha 
La presenza delle cartine JOB nella litografia Reptiles era per il mondo hippie un chiaro richiamo alle pratiche psichedeliche legato al consumo di stupefacenti (fig 7). Il richiamo era rafforzato dalla raffigurazione, in alto a destra, di un pacchetto di sigarette preconfezionate che escludeva l'uso delle cartine per la produzione di sigarette "normali". Inoltre il rettile che si materializzava da una tassellatura, saliva su un dodecaedro, sbuffando fumo per ritornare poi ad appiattirsi nuovamente nella tassellatura, richiamando così l'azione dell'assunzione di stupefacenti che allargavano la mente liberandola dalla costrizione schematica del quotidiano rappresentata dalla tassellatura. Anche in questo caso, però, Escher era lontanissimo da un’interpretazione di questo genere. Del resto la stampa Rettili aveva suggerito anche altre suggestioni. Bruno Ernst riporta di una telefonata giunta a Escher da parte di una donna che gli chiedeva se la litografia rappresentasse la reincarnazione
11. Infatti, il libretto con la scritta JOB era stato scambiato per il libro di Giobbe (Job in inglese), uno dei sette libri sapienziali dell’Antico testamento. Il libro tratta di come Dio castighi o premi le azioni degli uomini. Giobbe non si da pace, essendo uomo giusto e pio chiede il perché delle sue sofferenze. Tra l'altro disperato per i propri guai, egli suppone di pagare uno scotto di chissà quali crimini compiuti in precedenti esistenze12. Bruno Ernst racconta che Escher rispose: “Signora, se questo è il modo in cui lo vede, sarà proprio così”.

fig 8 Bad Trip, serigrafia a
 colori fluorescenti 1968 
Gli hippies si sentivano in sintonia con il mondo escheriano e iniziarono a usare le opere di M.C. Escher nella loro iconografia. Nel 1968 la J.Casey Posters di New York, legata al mondo degli hippies, produsse, senza autorizzazione, un poster usando l’immagine della xilografia Dream (B272) una xilografia del 1935 colorandola con colori fosforescenti che brillavano in presenza di luce ultravioletta (fig. 8). L’opera fu ribattezzata Bad Trip a ricordare le sensazioni di un viaggio psichedelico finito male. In seguito anche altri editori di poster legati al mondo hippie a San Francisco e Chicago produssero, sempre senza autorizzazione, una serie di poster usando le opere di M.C. Escher colorate con colori fosforescenti. Le opere rappresentate erano Butterflies (B369) 1950, Inside St. Peter's (B270) 1935, Tower of Babel (B118) 1928, Stars (B359) 1948, Dragon (379) 1952, Three Spheres (B336) 1945, Cycle (B305) 1938. Ad alcune, come era successo con Dream, fu cambiato anche il nome e così Three Speres  divenne Peace on Earth. Una versione di Reptiles colorata finì nel 1969 sulla copertina di un LP eponimo dei Mott the Hoople.

In un primo momento Escher reagì in maniera divertita a questi apprezzamenti da parte degli hippies. Rispondendo a un suo amico americano, il geologo Kurt Servos che gli aveva raccontato delle T-shirt e dei poster psichedelici con impresse le sue opere, Escher chiese cosa fosse esattamente una T-shirt. Chiedeva poi chi fossero questi giovani, questi hippies come aveva sentito che venivano chiamati, che giravano con le sue opere sul petto13. Escher respinse la proposta di Servos, che gli suggeriva di incaricare un avvocato a procedere contro questi contraffattori, paventando le ingenti spese in cambio della bassa probabilità di successo14. Escher era in realtà più seccato dall’uso improprio che da quello non autorizzato. Solo successivamente iniziò a reagire in maniera più decisa per proteggere il copyright delle sue opere. Infatti, in seguito a questo inasprimento verso il mondo hippie, M.C Escher negò a Mike Jagger, che pure la aveva preventivamente chiesta con modi gentili ed ammirati, la autorizzazione ad usare le sue opere per una copertina del loro LP.

Nei primi giorni del 1969 Mick Jagger degli Rolling Stones iniziò una corrispondenza con M.C.Escher per chiedergli di disegnare la copertina del loro nuovo LP Let it Bleed.

La corrispondenza fu pubblicata nel 1974 sulla rivista Holland Herald:

Caro Maurits,
Per un bel po’ di tempo ho avuto tra le mani il tuo libro (The Graphic Work of M.C. Escher) e non smetto mai di stupirmi ogni volta che lo sfoglio! In realtà credo che il tuo lavoro sia assolutamente incredibile e farebbe molto piacere a me e a molte altre persone intorno a me comprendere meglio e capire esattamente cosa stai facendo.
Nel mese di marzo o aprile di quest'anno, abbiamo programmato il nostro prossimo disco, e mi farebbe molto piacere riprodurre uno dei tuoi lavori sulla cover. Ti prego quindi di prendere in considerazione la progettazione di una "immagine" per illustrare la cover, o qualora tu avessi delle opere inedite si potrebbe anche pensare di usare una di queste. L'idea di una delle tue "illusioni ottiche" mi affascina, ma anche un’immagine come quella di "Evolution" sarebbe ovviamente altrettanto adatta. Direi che è la stessa cosa. Si potrebbe anche usare un’immagine lunga come "Metamorfosi", che potremmo poi riprodurre come un pieghevole che si estrae. Potrebbe essere sia in bianco e nero sia a colori, cosa che lascio decidere a te.
Naturalmente, sia tu, che i tuoi editori, potrete ottenere tutti i diritti e crediti sulla cover, e negozieremo il giusto compenso qualora ti deciderai a farlo. Sarei molto grato se tu potessi prendere contatto con Peter Swales o con la signorina Jo Bergman al suddetto indirizzo o al numero di telefono indicato (in addebito al numero chiamato). Sia l’uno, sia l’altra, ti daranno tutta l'assistenza necessaria. Tuttavia, io non sono così fortunato da possedere un interprete olandese, e quindi se non parli inglese o francese, ti sarei grato se tu potessi trovare qualcuno a Baarn che ti faccia da interprete.
Cordialmente,
Mick Jagger
per Rolling Stones Ldt.

Escher rispose il 20 Gennaio indirizzando la missiva a Perter Swales, come indicato da Jagger:

Egregio Signore,
Alcuni giorni fa ho ricevuto una lettera dal signor Jagger che mi chiede di disegnare un quadro o di mettere a disposizione un mio lavoro inedito da riprodurre sulla custodia per un LP.
La mia risposta a entrambe le richieste deve essere no, in quanto voglio dedicare tutto il mio tempo e la mia attenzione ai tanti impegni che ho contratto. Non posso assolutamente accettare ulteriori incarichi o perdere tempo per la pubblicità.
A proposito, la prego di dire al signor Jagger che non sono Maurits per lui, ma
Molto sinceramente,
M. C. Escher.

fig. 9 Verbum [Earth, Sky and Water] (B326)litografia 1942
In una lettera successiva, Mick Jagger chiese il permesso di usare l’immagine dell’opera Verbum (fig. 9). per la copertina della loro seconda compilation ufficiale Through The Past Darkly. La richiesta fu nuovamente rifiutata. M.C. Escher rispose che egli non si sentiva offeso dalla familiarità eccessiva con la quale Mike Jagger si era rivolto a lui ma dal fatto che continuava a ricevere moltissime offerte di quel genere. E che per “fairness” verso quelli che si erano sentiti rifiutare le proposte, non voleva fare un’eccezione. La compilation Through The Past Darkly uscì con una cover ottagonale con al posto di Verbum una insignificante immagine dei componenti del gruppo (fig. 10) .

fig. 10 Custodia di Through The Past Darkly, LP dei Rolling Stones 1969

Attraverso la Fondazione Escher, fondata nel 1968, Escher intensificò la protezione dei suoi diritti di copyright15. La battaglia conto i contraffattori si rilevò particolarmente difficile negli Stati Uniti, poiché la legge americana sui diritti d'autore prevedeva una registrazione preventiva. Soltanto nel 1994 in occasione degli accordi GATT, Bill Clinton accettò di estendere la legge sul copyright americano anche sulle opere già protette originariamente in paesi firmatari della Convenzione del Copyright di Berna16. La fondazione Escher continuo la sua battaglia contro i contraffattori e nel 1996 a 24 anni dalla morte di Escher riuscì in un famoso processo, che fece giurisprudenza, a fare valer i suoi diritti17. Ma suo malgrado, proprio negli Stati Uniti, sono state le magliette, le cravatte ed i posters a diffondere l’arte di M.C Escher.

L’artista era stato amato in vita da due categorie di persone: dai matematici e dagli hippies. I primi furono fortemente ricambiati, i secondi fermamente osteggiati. Queste due categorie di persone favorirono la diffusione della sua opera a dispetto della critica ufficiale che continuava a non capirlo non riuscendo a catalogarlo in nessun movimento artistico.

L’arte è considerata vera arte se produce emozioni. Escher in un primo impatto produsse queste emozioni in due comunità che apparentemente sembrano non avere nulla in comune. Le motivazioni vanno cercate nella produzione escheriana successiva al 1937. Escher smise in quel periodo di rappresentare quello che i suoi sensi percepivano e si rivolse ad un modo interiore costruito solo sui suoi ricordi18. In questo mondo interiore, svincolato dalle costrizioni concettuali imposte dai sensi, Escher si rivolgeva a quello che andava oltre la doxa, l’apparenza, cercando il para-doxa, il paradossale, quello che va oltre l’esperienza sensoriale.

Questo tipo di ricerca è alla base della ricerca filosofica idealista. Parmenide il filosofo presocratico fondatore della scuola eleatica e precursore dell’idealismo, contrapponeva alla doxa l’aletheia, la verità, che poteva essere colta solo attraverso la ragione. La scuola eleatica arrivò addirittura a negare la più ovvia delle esperienze, il movimento, in base ai paradossi logici. In seguito Platone, con la sua dottrina delle idee, diede sostanza ontologica a quel mondo interiore che è il mondo delle idee. La ricerca matematica si muove in questo mondo, svincolata dai sensi, alla ricerca delle connessioni tra enti astratti cercando di definirne la struttura.

Anche il movimento psichedelico degli anni settanta si rivolgeva a mondi “artificiali”, distinti da quello proposto dall’apparenza, dall’esperienza sensoriale. Gli hippies fuggivano dalla realtà, che comunque non era per loro soddisfacente, alla ricerca di altro. La scoperta delle sostanze psicotrope, che deformano le connessioni sinaptiche tra i sensi e la percezione, permetteva di esplorare nuovi mondi, mondi artificiali, diversi. Aldous Huxley autore di  The Doors of Perception, uno dei manifesti del movimento hippie, che tratta dell’esperienza psichedelica indotta da sostanze stupefacenti, affermava che l’ordinaria esperienza percettiva è un elemento inibitorio dell’esperienza visionaria19. Gli aggregati sinaptici, alla base dei nostri concetti di spazio e tempo, sotto l’influenza degli stupefacenti, si liberano dalle imposizioni dei sensi, trovano nuove connessioni con altri aggregati creando così concetti che vanno oltre l’esperienza sensoriale e quindi para-dossali

La matematica fa qualcosa di simile con le connessioni tra i concetti astratti. Anche il matematico stacca la spina dei sensi e crea nella mente nuovi percorsi tra idee astratte, crea inoltre nuovi concetti, che spesso sono completamente astrusi dalla realtà, impensabili nel mondo dei sensi e quindi per definizione paradossali.

L’arte di M.C Escher visualizza questi mondi paradossali (nel senso originale del termine para-doxa) in modo magistrale, deformando lo spazio quando questo viene rappresentato sul piano del foglio da disegno. Infatti, la rappresentazione bidimensionale dello spazio lascia certi gradi di libertà che permettono la costruzione di mondi e realtà impossibili. Osservando con attenzione le opere di Escher si possono intuire, naturalmente solo in maniera superficiale, sia lo stupore che prova il matematico di fronte alla comprensione di verità non banali, sia le sensazioni indotte da un’esperienza psichedelica. E questo fa, non solo per matematici e hippies, di M.C. Escher un artista di assoluta grandezza.






1) Nel 2011 in Brasile una retrospettiva su Escher organizzata dal Centro Cultural Banco do Brasil ha registrato 1,2 milioni di visitatori, risultando la mostra più visitata a livello mondiale del 2011.
2) Nel 2008 si tenne presso il MUMOK di Vienna la mostra “Genau und anders” su matematica nell’arte da Dürer a Sol LeWitt con opere di più di cento artisti nella quale non fu esposta neanche un’opera di Escher. Nel catalogo, edito dal Verlag für moderne Kunst di Norimberga, uno dei curatori motivò questa scelta con l’affermazione che l’opera di M.C. Escher non deve considerarsi arte.
3) Una completa esposizione della classificazione delle simmetrie del piano sviluppata da M.C Escher si trova in Vision of Symmetry di Doris Schnattschneider, pubblicato da W.H Freeman nel 1990 a New York,
4) Nel 1941 Escher studiando le proprietà di tassellature di un particolare esagono, descritte dal matematico F.Haag in un articolo del 1923, che gli era stato inviato dal suo fratellastro Beer, enuncio un teorema sulle proprietà delle diagonali di esagoni che tassellano il piano. Il Teorema di Escher fu definitivamente dimostrato da J.F. Rigby nel 1991.
5) Lettere al figlio Arthur del 9 novembre 1958 e del 7 dicembre 1958, lettera a Coexter del 1 maggio 1960 e del 15 Marzo 1964, lettera a figlio George del 28 maggio 1960  pubblicate in Escher His Life and Complete Grafic Work di F.H Bool, J.R Kist, J.L. Locher e F.Wierda pubblicato da H.N Abrahams nel 1982 a New York.
6) Lettera al figlio Arthur del 24 gennaio 1960, lettera a Lionel e Roger Penrose del 18 aprile 1960 pubblicata in Escher His Life and Complete Grafic Work.
7) Lettere al figlio George del 2 settembre 1959, del 30 ottobre 1962 e del 14 aprile 1963 in Escher His Life and Complete Grafic Work.
8) Lettera al figlio George 20 aprile 1969 pubblicata in Escher His Life and Complete Grafic Work.
9) Specchio magico di Bruno Ernst pubblicato da Taschen.
10) The Matematical Structure of Escher’s Print Gallery di B. de Smit and H.W. Lenstra  in Notices to the American Mathematical Society del 2003.
11) Lo specchio magico, Bruno Ernst, pubblicato da Taschen.
12) Il libro di Giobbe capitolo XIX: " Imperocché io so che vive il mio Redentore, che in un nuovissimo giorno io risorgerò dalla terra. E di nuovo sarò rivestito della mia pelle, e nella mia carne vedrò il mio Dio. ".
13) Lettera a Kurt Servos,  17 aprile 1971 collezione della fondazione Escher.
14) M.C. Escher Een Biografie,i Wim Hazeu, 1998, Meulenhoff pag 492.
15) Lettera al figlio George 24 maggio 1970 pubblicata in Escher His Life and Complete Grafic Work.
16) Accordo TRIPS ufficializzato al termine del negoziato di rinnovamento dal GATT (General Agreement on Tarifs and Trade) detto Uruguay Round a Marrakech nel 1994.
17) United States District Court - Case No. 950863R, Judge Mr. John S. Roades.
18) Rolling Stone, periodico americano di musica pop, numero del febbraio 1970, pagina 40.
19) Paradiso e Inferno in Le porte della percezione (The Doors of Perception), Aldous Huxley edito da Mondadori nel 2005, pag 72.