Παν είναι αριθμός, ”tutto è numero” era il motto dei Pitagorici. E per numeri si intendevano quelli interi, i numeri naturali, quelli che servono per contare, per mettere in ordine.

Disintossicato dal Continuo e dall'Infinito, lasciatemi alle spalle le teorie di Cantor e la filosofia di Parmenide, voglio assaporare il Discreto, godere del Finito. Voglio elencare, numerare, mettere in ordine.

E mettere le cose in rapporto con i numeri finalmente mi da pace.

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sabato 8 maggio 2010

La teoria eliocentrica di Aristarco da Samo





Aristarco da Samo, astronomo e fisico greco visse tra il 310 a.C. e il 230 a.C. Egli fu il primo a sviluppare una teoria eliocentrica del cosmo togliendo alla terra l'attributo di centro dell'universo. Inoltre in base ad un sottile ed elegante ragionamento riuscì a determinare la distanza tra la terra ed il sole e la distanza tra la terra e la luna e quindi le dimensioni relative fra la terra la luna ed il sole. Furono proprio queste misure che gli fecero capire che il sole era molto più grande della terra e che si trovava molto lontano dalla coppia terra luna, tra loro invece relativamente vicine. Questa disparità di dimensioni e di distanza fu certamente lo spunto per considerare il sole, l’astro più grande, al centro del sistema. Inoltre il sistema eliocentrico permetteva di spiegare in maniera molto più semplice i moti apparenti dei pianeti.
Il ragionamento di Aristarco per il calcolo dei rapporti tra le distanze ed i diametri dei tre corpi celesti era basato su semplici osservazioni. La versione qui riprodotta ne segue le linee generali, anche se non ne segue per filo e per segno lo svolgimento. Resta comunque la bellezza del ragionamento che portò Aristarco e la civiltà greca a capire le dimensioni del cosmo e a mettere quindi  in discussione il geocentrismo e di conseguenza l’antropocentrismo.


 
Vediamo innanzitutto alcune definizioni:





Dts = distanza terra – sole
Dtl = distanza terra – sole
dso =  diametro sole
dte =  diametro terra
dlu =  diametro luna

Aristarco osservando le fasi della luna e la relativa posizione del sole aveva capito che la luna era illuminata dal sole è che nelle quadrature ( primo ed ultimo quarto) , quando la luna presentava il suo disco illuminato a metà le semirette che congiungevano il sole alla luna(SL) ed la terra alla luna (TL) formavano un angolo retto.

  

Aristarco individuò quindi il triangolo TLS rettangolo in L. Misurando l’angolo α tra la luna ed il sole durante le quadrature della luna Aristarco era in grado di conoscere tutti gli angoli del triangolo TLS. Infatti, l’angolo β la terra ed la luna visti dal sole poteva facilmente essere calcolato sapendo che la somma degli angoli di un triangolo era uguale all’angolo piatto (180°).  L’angolo luna-sole visto dalla terra comunque doveva essere minore di 90°. Infatti, quando la luna si torva in quadratura il sole non e poi molto distante ed i due astri si possono vedere insieme nel cielo diurno.  La misura effettuata da Aristarco diede il valore di 87°  (il valore moderno è di 89° 51’).







L'errore era tutt'altro che trascurabile ma la misura con i mezzi di allora non era di semplice esecuzione, inoltre la determinazione del esatto istante della quadratura della luna presentava difficoltà ancora maggiori. Aristarco capì comunque che essendo l’angolo luna-sole molto vicino a 90°, il rapporto tra la distanza terra-luna ed la distanza terra-sole era molto piccolo e che quindi il sole distava dalla terra molto più della luna. Aristarco stimò il valore compreso tra 18 e 20 mentre il valore moderno e di circa 400. Questo errore relativamente grande è dovuto dal fatto che nel triangolo rettangolo TLS se l'angolo tra il cateto minore e l'ipotenusa (nel nostra caso l’angolo luna–sole) è molto vicino a 90° anche piccoli errori nella stima di questo angolo generano grandi errori nel rapporto tra lo stesso cateto minore e l’ipotenusa. Infatti, già una  stima di 89° darebbe un rapporto di 57 mentre a 89° 51” il valore sale a 382.

Chiamiamo k il rapporto tra le distanze terra-sole e terra-luna:


Il rapporto tra le distanze si riflette subito sul rapporto delle grandezze, in quanto il sole e la luna sono visti dalla terra in sostanza sotto lo stesso angolo (ca. 0.5°). Infatti la dimensione apparente del sole e della luna è quasi uguale.




Questo si nota soprattutto durante le eclissi totali di sole, quando la luna copre tutto il sole èd il periodo di eclisse totale è di solito molto breve.


Inoltre le eclissi totali di sole sono visibili come tali solo in regioni ristrette, già muovendosi di poche centinaia di chilometri l’eclisse non è più totale ma solamente parziale. Come si po’ vedere nella mappa sottostante che indica in porpora  la zona della terra in cui era visibile l’eclisse totale del luglio 2009 mentre la zona blu indicava quella parte da dove l’eclisse era vista come parziale.   




La considerazione che il cono d’ombra solare potesse essere considerato un triangolo isoscele con base il diametro solare e come vetrice la terra (la sua superficie) indusse Aristarco ad un ragionamento che lo porto a calcolare il rapporto tra il diametro della terra ed il diametro lunare e quindi attraverso il rapporto già trovato del rapporto tra il diametro lunare e d il diametro solare al rapporto tra il diametro terreste ed il diametro del sole.



Definiamo quindi




Per calcolare questo valore Aristarco si servì di un altra osservazione relativa questa volta alle eclissi di luna. Infatti osservando le eclissi lunari Aristarco aveva notato che al contrario di quelle solari la loro durata non poteva essere considerata un istante. Anzi il passaggio della luna nel cono d’ombra della terra durava tipicamente parecchi minuti e si potevano chiaramente distinguere quattro distinti momenti.

A)   il momento in cui la luna tocca il cono d’ombra della terra
B) il momento in cui la luna è entrata completamente nel cono d’ombra della terra.
C) il momento in cui la luna inizia da uscire dal cono d’ombra della terra
D) il momento in cui la luna è uscita dal cono d’ombra della terra.













Aristarco riuscì a determinare il rapporto tra il diametro della luna ed il diametro del cono d’ombra della terra in corrispondenza dell’orbita lunare (dco) dal rapporto del tempo che intercorreva tra gli istanti A e B o C e D  (proporzionali al diametro lunare) ed il tempo che intercorreva tra gli istanti A e C oppure B e D (proporzionali al diametro del cono lunare in corrispondenza della orbita lunare).





Definito quindi dco come dimensione del cono d’ombra della terra in corrispondenza dell'orbita lunare

chiamiamo quindi 




il rapporto tra diametro del cono d’ombra della terra in corrispondenza dell’orbita lunare e del diametro lunare.

Aristarco trovo per m il valore 2 mentre il valore moderno risulta 2,7






Ne risultava subito che la dimensione della terra non poteva essere molto più grande del luna. Infatti, se il cono d’ombra della luna si riduceva di un diametro lunare sulla distanza terra luna durante l’eclissi di sole, il diametro del cono d’ombra durante l’eclissi di luna si doveva ridurre di una grandezza equivalenti. Questo vale solo se i triangoli definiti dai coni d’ombra della terra e della luna possono essere considerati triangoli simili. Aristarco considerò i due triangoli in sostanza molto simili poiché la distanza sole luna era molto maggiore della distanza terra luna e quindi gli angoli al vertice dei triangoli isoceli aventi come base il sole e come vertice la punta dei rispettivi coni d’ombra dovevano differire di una quantità esegua.




quindi







dalla definizione di m nella (1.3)



Sostituendo la (1.5) nella (1.4)




raggruppando  dlu 


e quindi evidenziando dlu



considerando la (1.2)


si ottiene 



Ricapitolando, Aristarco aveva trovato per k il valore di 19 mentre  per m il valore 2. Applicando questi valori alla (1.8)  e alla (1.10) le risultanti dimensioni del sistema solare sono ricapitolate nelle seguenti:








Aristarco aveva eseguito errori nella determinazione di m e k e aveva quindi sottostiamo sopratutto la distanza terra sole. I valori coretti per k ed m sarebbero stati rispettivamente 382  e 2,7. Usando questi valori il diametro lunare e quello solare risultano:

    
       
molto vicini ai valori moderni.

Pur sbagliando le misure astrometriche Aristarco aveva intuito che il sole era un oggetto celeste di gran lungo più grande della terra e quindi le toglieva il primato che era alla base della visone geocentrica del cosmo.
La teoria eliocentrica fu però fermamente osteggiatata da Claudio Tolomeo astronomo del II secolo d.C che nella sua opera Almagesto affermò la centralità ed immobilità della Terra nell'universo.
Il Cristianesimo in seguito avallò la cosmologia tolemaica in quanto compatibile con le Sacre Scritture. Infatti in Giosuè, cap. X, si legge "fermati, o sole!" e quindi secondo la chiesa era il sole a muoversi e non la terra.
Dovranno passare quasi 2000 anni prima che Nicolò Copernico e dopo di lui Galileo riaffermeranno la visone eliocentrica del sistema solare togliendo definitivamente alla terra la posizione privilegiata al centro del universo.

sabato 17 aprile 2010

Lettera a Parmenide



Caro Parmenide

Lo so che la storia della radice di due, il rapporto tra lato del quadrato e la sua diagonale, era una bella rogna. I Pitagorici avevano dimostrato che non fosse esprimibile come rapporto di due numeri interi. Questo era del tutto inaspettato, contrario al senso comune e ha creato un bel casino nella concezione del mondo dei tuoi conterranei. Effettivamente a una prima analisi sembrava che intuizione e realtà non fossero sempre in sintonia, e che non tutte le cose “sono” come “sembrano”. Il fatto che la matematica, che è basata sulla ragione e sulla logica, non sia intuitiva, è qualcosa che non deve sconvolgerti più di tanto. Dopo di te negli ultimi 2000 anni è successo un sacco di volte che la matematica ha prodotto risultati inaspettati e assolutamente anti intuitivi. Basta che pensi ai numeri immaginari basati sulla radice di -1 oppure agli infiniti di ordine superiore di Cantor. Il grande John (Janos) von Neuman, diceva “In matematica non si capiscono le cose, semplicemente ci si abitua a esse”. Oggi ogni alunno delle scuole elementari accetta senza problemi che la radice di due ha infinite cifre dopo la virgola. E la cosa non lo sconvolge più di tanto.
Secondo me hai un po’ esagerato o forse ti sei compiaciuto a farlo. C’era proprio bisogno di dividere il mondo in due? Quello delle apparenze (doxa) e quello della verità/ragione (aletheia). Solo perchè alcuni ragionamenti sembrano dare risultati paradossali non c’è bisogno di negare i dati empirici. Buttare a mare l’esperienza dei sensi ogni qual volta la logica apparentemente la contraddice si rivela spesso atteggiamento affrettato. Può succedere che la nostra esperienza non sia sempre descrivibile in una particolare situazione logica ma appena si allargano gli orizzonti delle teorie, l’esperienza è sempre ritornata in sintonia con la tua “aletheia”. E’ poi caro Parmenide è facile tirare in ballo un altro mondo per spiegare cose che apparentemente nel “nostro” sono a prima vista contraddittorie.
Poi, scusami ma devo dirtelo, il tuo argomento ontologico è un po’ un gioco di parole. Dici che ”l’essere è e il non essere non è” per poi concludere che quindi il “non essere” non esiste. Ed essendo il “non essere” equivalente al vuoto quest’ultimo, il vuoto, non esiste. Non esistendo il vuoto lo spazio è pieno e quindi il moto è impossibile, non esiste. Tutto è fermo nulla si muove.
Potrei ribattere: E l’esperienza ? Io mi muovo quando voglio, anche tu, o no ?
Scusa dimenticavo, secondo te è solo un’illusione, apparenza. Conta solo la ragione e quella secondo te ci dice che non ci possiamo muovere.
Ma proprio qui sbagli. L’argomento ontologico poi tanto logico non è. Il problema logico nasce dalla sostantivazione dei verbi. Formalmente è semplice: basta aggiungere l’articolo determinativo all’infinito del verbo in questione. Nessuno ci dice, però, che questi sostantivi eseguono l’azione del verbo alla loro base. Forse ha senso dire che “il pensare pensa” ?
Chi ci dice che “l’essere è” e a maggior ragione che “il non essere non è”. E solamente un gioco di parole che tra l’altro non funziona in tutte le lingue: in inglese giustamente “the to be is” non ha senso.
Fortunati gli inglesi, che così si sono risparmiati il delirio ontologico continentale sfociato in quella troiata dell’idealismo kantiano. La loro lingua gli ha lasciati con i piedi per terra e così hanno potuto sviluppare un sano e pragmatico empirismo.

Caro Parmenide la ragione non nega l’esperienza e quindi non è necessario creare un altro mondo in contrapposizione a quello empirico. E poi per quale motivo bisogna creare un dualismo quando se ne può fare a meno? “Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem” dirà Guglielmo da Occam, guarda caso anche lui anglosassone.

Logicamente ed empiricamente tuo

Federico

sabato 6 febbraio 2010

Lettera a Pitagora


Caro Pitagora

E’ tutta colpa tua! hai fatto proprio un bel casino.

Eri partito bene, convinto che a tutto poteva essere associato un numero, anzi ti eri spinto anche oltre affermando che ogni cosa era numero e che quindi ogni cosa poteva essere messa in rapporto con un'altra, bastava dividerle in parti sempre più piccole, fino a trovare un elemento di dimensione uguale. Le cose reali stavano in relazione tra di loro come i loro numeri associati. Più semplici erano questi rapporti e più in sintonia erano le cose tra loro. Infatti, avevi, con acume, notato che nella lira solo i suoni prodotti dalle stringhe di lunghezze tra di loro in semplice rapporto sono armoniosi.

Poi è arrivato quell’esaltato di Ippaso da Metaponto, tuo allievo a Crotone, che aveva dimostrato che la diagonale del quadrato non poteva essere messa in relazione con il lato. Ma che cosa andava cercando? Cose cervellotiche: anche se avessimo suddiviso il lato in parti sempre più piccole e lo stesso avessimo fatto con la diagonale, anche suddividendoli sempre di più, non si sarebbe mai arrivato a un elemento di dimensione comune. 


Ippaso aveva dimostrato che la lunghezza della diagonale del quadrato con il lato di lunghezza unitaria, che in base al tuo famoso teorema, era uguale alla radice di due non poteva essere espressa come rapporto di due numeri interi e quindi non poteva essere messa in relazione numerica con il lato stesso. La dimostrazione la conosci ma voglio fartene conoscere un'altra, più generica, la quale si può adattare per dimostrare incommensurabilità di tutte le radici dei numeri interi che non siamo quadrati. 

Consideriamo quindi la diagonale d del quadrato di lato unitari e applichiamo il tuo teorema 





La dimostrazione, come del resto quella di Ippaso, è una dimostrazione per assurdo, nella quale si assume temporaneamente per vera una ipotesi e sviluppandone le conseguenze si giunge ad una conclusione assurda dimostrando cosi che l’assunto originale era falso. 

Ipotizziamo quindi che la diagonale d possa essere espressa come rapporto di due numeri interi n e m 


allora sostituendo la (1.3) nella (1.1) 


in generale avremo 



quindi




ora per il teorema fondamentale dell’Aritmetica sia m che n possono essere espressi in prodotto di fattori primi, e questa rappresentazione è unica, se si prescinde dall’ordine in cui compaiono i fattori. 





all'interno di una singola fattorizzazione ci possono essere fattori ripetuti, naturalmente: ad esempio, 100 = 2×2×5×5 

ma ora 






sostituendo nella (1.5)


ora se k non è un quadrato nella sua fattorizzazione ci sarà almeno un fattore presente un numero dispari di volte. Ma i fattori primi di n² e di m² sono presenti tutti un numero pari di volte e quindi la uguaglianza non può essere vera in quando almeno un elemento fattore primo del lato sinistro e presente un numero dispari di volte mentre i fattori primi dell’ lato destro sono tutti pari. 


Quindi la nostra temporanea premessa (1.5) ci ha portato ad una contraddizione e quindi la premessa è falsa. 

Quindi non esiste un rapporto numerico (1.3) che possa esprimere la radice di un numero che non sia un quadrato di un numero intero. In particolare non essendo 2 il quadrato di un altro intero la radice di due non può essere espressa nella forma (1.3), non può essere un rapporto tra numeri interi, una “ratio”, la misura della diagonale del quadrato è un numero irrazionale. 

Per te che eri convinto che tutto era numero e logos (rapporto, ratio), vedere che la diagonale non era “logica”, ma “illogica” nel vero senso della parola, deve essere stato proprio un brutto colpo. 

Ma la tua reazione! La tua reazione! Va bene arrabbiarsi, ma tu, il povero Ippaso lo hai fatto fuori annegandolo. 

Concordo, se lo era meritato! Ma, non dovevi dare tutta questa importanza alla scoperta. Soprattutto non dovevi tenerla nascosta. Bastava annoverarla tra quelle curiosità paradossali che s’incontrano quando si gioca con questi elementi irreali come punti senza dimensione o linee senza spessore che si sono inventati quei matti dei geometri. Anzi era proprio la dimostrazione che questi “enti” geometrici (scusa ma mi fa un po’ ribrezzo usare il participio presente del verbo essere per descrivere questi cosi) in realtà non esistono, non si meritano l’attributo dell’esistenza. 

Era quindi molto più semplice affermare, usando ancora una volta la la reductio ad absurdum: ecco ho appena dimostrato che la diagonale del quadrato (quello fatto con le linee senza spessore) non esiste, poiché la supposizione della sua esistenza porta ad un assurdo. Esistono solo le diagonali dei quadrati che disegniamo sulla sabbia o su un foglio, esistono solo le cose che possiamo costruire e non ogni stronzata che possiamo pensare o immaginare. Esiste forse l’Ippogrifo? 

Hai tenuto tutto nascosto. Così hai avvallato il pensiero, che il grande Pitagora, quello che credeva che tutto fosse finito, numerabile, aveva paura del concetto della divisone all’infinito. Così hai dato adito a Platone di inventarsi quella iattura del mondo delle idee: dove oltre alle diagonali dei quadrati con le linee senza spessore può esistere qualunque cosa, addirittura il concetto più contraddittorio della logica: l’infinito. 

Ma va ....... !!! 

Sempre con stima (nonostante tutto) 

Federico